La Grecia che è dentro di noi

La Grecia ha 11 milioni di abitanti. Più o meno come la somma dei 6 milioni di campani e 5 di siciliani. Oppure come somma di 4 milioni di pugliesi, 2 di calabresi più i siciliani. Dopo anni di crisi e crolli il Pil greco si è ridotto a 180 miliardi; solo cinque anni fa era di 242. Il Pil di Campania (80 miliardi) e Sicilia (70), di complessivi 150 miliardi, è inferiore a quello greco. Come anche quello, più o meno, di Puglia (60), Calabria (25) e Sicilia. Nemmeno cinque anni fa però, tutto il sud, 20 milioni di abitanti, raggiungeva, con 216 miliardi, il già asfittico Pil greco. Grecia e Magna Grecia sono assolutamente allineate e non è una bella novità. Ancora peggio, come annota Giovanni Alvaro, che il Governo l’ignori. Come già avvenuto in altre storiche premiership fiorentine, la Magna Grecia da problema ingombrante è stato rimosso a fantasma.

La Grecia invece è un problema inevitabile per l’Europa, che ha scoperto nel 2009 la falsificazione del bilancio ellenico utilizzata da Atene per l’adesione all’Euro del 2001. Dal 2010 in poi sono stati prestati alla Grecia circa 110 miliardi l’anno, 40 in tutto solo dall’Italia. Anche l’Europa è un problema per i greci che hanno bisogno subito, entro il primo luglio, di 3,4 miliardi, metà da restituire e metà per stipendi e pensioni, e soprattutto per riceverne altri 7 in prestito. È un Paese, tecnicamente, già in default “selettivo”, declassato, più e più volte (nel 2010, 2011, 2012, 2013 e 2015) dalle agenzie di rating Moody's, Standard & Poor's, Fitch e Msci. Cui non è stato sufficiente finora tagliare, dal 2011, la spesa pubblica di una media di 10 miliardi l’anno, cacciare 30mila dipendenti pubblici e ridurre i salari minimi del 22 per cento. Il crollo ha bruciato diverse elezioni e premiership. I socialisti di George Papandreou dal 40 per cento del 2000 e 2009 sono scomparsi. Anche la destra di Nuova Democrazia di Konstantinos Karamanlis e Antonis Samaras, vincenti nel 2004, nel 2007 e due volte nel 2012, è un ricordo. È rimasto travolto anche la versione greca di Monti, l’ex premier Lucas Papademos. La loro sorte è stata decisa dalle istituzioni europee e finanziarie che hanno voluto insegnare ai greci che il loro voto non conta niente; e che l’unica vincente in ogni caso è la finanza. Quella di Goldman Sachs che per 600 milioni aiutò il governo di Costas Simitis a raggirare l’Europa; uguale a quella di Morgan Stanley che dal declassamento italiano del 2011 guadagnò 2,5 miliardi o del Fmi che finora dal debito greco ha guadagnato 2,5 miliardi.

Ora da cinque mesi, dall’avvento del governo rossobruno di Alexis Tsipras, la Grecia è impegnata in un braccio di ferro, incredibile per le differenze di peso, con il resto dell’Unione europea. Il racconto romantico narra della denuncia del debito, ad imitazione di Lenin, da parte del premier comunista greco. Oppure della cacciata dell’Fmi da Atene. In realtà il governo sinistro-destro, dei partiti Syriza e Greci Indipendenti, non suona la riscossa. Si è visto rifiutare l’ipotesi di dimezzare il valore del debito, fatta digerire ai privati da Papandreou con il consenso di Bruxelles, in mano a governi ed altri soggetti istituzionali creditori. Alla fine le invalicabili differenze tra creditori e debitori si limitano a mezzo punto di debito pubblico da abbattere e in due anni di allungamento pensionistico. Anche Tsipras si adatterebbe, in mancanza di alternative e soldi, alla politica di austerity europea; di fronte al rischio che gli aiuti cessino, sventola la minaccia dei rischi della vittoria, a nuove elezioni, dell’estremismo di destra di Alba Dorata.

La decisione, quindi, se tenere o meno la Grecia nell’eurozona è tutta dell’Europa. È chiaro che per evitare il Grexit l’Unione deve mantenere gli ellenici. Data l’esiguità di popolazione e di Pil, la loro uscita non sarebbe un gran danno. Gli istituti finanziari hanno subito indicato lo spauracchio di 185 miliardi di costi generali in caso di uscita di Atene. Il vero timore è dare il via all’esempio del meccanismo di uscita, di cui non si conoscono tempi e procedure non essendo stato contemplato all’inizio. L’esempio della Grecia e del suo interminabile negoziato stride con la facilità dell’adesione dell’Italia ai diktat europei nel 2011. L’Italia, che ha quasi sei volte la popolazione greca, e quasi dieci volte il Pil greco; è il secondo Paese manifatturiero ed il terzo Paese pagatore dell’Europa e creditore di tutti gli aiuti finora distribuiti, e non solo alla Grecia. Se un Grexit fa paura per le conseguenze politiche ed economiche, è legittimo chiedersi quale potrebbe essere stata o essere la portata della tempesta prodotta, sullo stesso panorama politico, dal puntare i piedi di Roma. La Grecia può scuotere il palazzo europeo, l’Italia potrebbe abbatterlo del tutto.

Qualcuno deve mantenere la Grecia per motivi politici europei. Qualcun altro mantiene la Magna Grecia per motivi politici e storici interni. Tutta la questione dell’immigrazione è molto sopravvalutata ad arte perché in realtà sostitutiva di una questione meridionale che l’Italia non ha il coraggio di porre in Europa. Nel dibattito sul Grexit, invece di fare il guardiano della finanza, anche l’Italia dovrebbe svelare la Grecia che ha dentro di sé, invece di nasconderla sotto le vesti. Mostrare lo scandalo della realtà per ricontrattare tutto, molto oltre dove Tsipras non ha i mezzi e le forze per arrivare.

 

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:06