Iran, accordo folle con   un regime inaffidabile

Il negoziato fra gli Stati “5+1” (Usa, Regno Unito, Francia, Russia e Cina, membri del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, più la Germania) e la Repubblica Islamica dell’Iran proseguirà oltre il termine fissato del 30 giugno almeno per un’altra settimana. Il regime degli ayatollah, stremato da quasi nove anni di sanzioni dell’Onu, degli Stati Uniti e dell’Unione Europea a causa del suo rifiuto di fermare un programma iniziato fin dagli anni Novanta e che può portarlo ormai in tempi brevi all’arma nucleare, ha finora ingannato in modo smaccato gli altri negoziatori, riuscendo a guadagnare tempo e fidando da un lato su meri interessi economici di alcuni Stati, dall’altro sull’incapacità e le indecisioni palesi in politica estera sia di governi europei che dell’Amministrazione Obama. Solo per questo un regime sanguinario, che sarebbe potuto crollare in più occasioni per la crisi economica e sociale, si trova oggi nella possibilità concreta di ottenere sia l’annullamento delle sanzioni che un ‘via libera’ di fatto all’arma atomica, che entro pochi anni potrebbe utilizzare anche abbinandola ai missili balistici dei quali si sta dotando.

Ora, di fronte a governi che sembrano ansiosi di arrivare a un accordo quasi ad ogni costo, cedendo ulteriormente alle richieste di Tehran, il ministro degli esteri iraniano Zarif si è permesso di dichiarare: “L'unico accordo che la nazione iraniana accetterà è un accordo che rispetti la grandezza della nazione e i diritti del popolo iraniano". La frase, che casualmente riecheggia le parole pronunciate pochi giorni prima da Tsipras sulla grandezza passata della Grecia, contiene due elementi che richiederebbero una risposta forte. Uno è il riferimento ai “diritti del popolo iraniano”: possibile che nessuno degli Stati di democrazia politica coinvolti (non la Russia e la Cina, che con la democrazia e i principî dello stato di diritto non riescono ancora a dialogare) faccia presente a Zarif e ai suoi sodali che sono loro a soffocare, da 36 anni, i diritti del proprio stesso popolo? Fra l’altro, per non citare che un parametro, da quando l’ayatollah Rouhani occupa il posto di presidente sono state eseguite circa 1.800 condanne a morte, con un ritmo più elevato che sotto il più rozzo – nei modi – Ahmadinejad. Il secondo elemento che andrebbe contestato è il richiamo alla “grandezza della nazione”: il fatto che un regime sia al potere su un territorio che fu amministrato da un impero secoli o millenni fa deve forse consentirgli di violare apertamente il diritto internazionale? Può il governo messicano godere di particolari privilegi in memoria dell’impero azteco? Può quello italiano dotarsi di armi atomiche in nome dell’impero di Augusto? Può (e qui entriamo in un caso meno teorico) Erdogan aspirare all’egemonia su parte del Medio Oriente, dell’Asia centrale e del Nord Africa considerandosi erede degli Ottomani? In essenza, si tratta di logiche ipernazionaliste – o fasciste, se vogliamo usare questo termine; e applicarle alla Grecia di oggi può essere solo teoricamente sbagliato, ma impostare su di esse le pretese nucleari di Teheran è anche estremamente pericoloso.

Sui termini tecnici dell’accordo, i nodi dipendono soprattutto dall’ostinata proclamazione degli ayatollah di non accettare ispezioni sui siti militari e di voler mantenere un numero elevato di centrifughe ad altissima capacità di arricchimento dell’uranio; ma anche gli insufficienti controlli dell’Aiea cesserebbero del tutto in 15 anni. C’è poi la probabilità che l’accordo non sia ratificato dal Congresso degli Stati Uniti: sia i repubblicani che molti democratici lo considerano un gravissimo errore, in particolare per la minaccia alla sicurezza di Israele e per il rischio che si avvii una corsa all’arma nucleare da parte di altri Stati della regione, a iniziare dall’Arabia Saudita. La richiesta del governo russo di fare approvare formalmente l’eventuale accordo dal Consiglio di sicurezza mira probabilmente a superare tale ostacolo.

Al di là di ogni aspetto tecnico, tuttavia, la questione di fondo è che il regime iraniano è del tutto inaffidabile. Lo stesso Rouhani, che è stato per alcuni anni capo negoziatore iraniano sulla materia, si è vantato pubblicamente di avere ingannato gli interlocutori e di essere sempre riuscito a guadagnare tempo. Che poi quel regime si presenti oggi come “alleato” degli stati occidentali nella lotta contro l’Isis è paradossale: l’Isis non avrebbe mai iniziato la propria espansione in Iraq se l’Iran non avesse, con le proprie milizie e sostenendo quelle sciite irachene, operato una violenta repressione della popolazione sunnita dell’Iraq centrale, provocando una disperata rivolta. Eliminare il sedicente “Stato Islamico” è necessario ed urgente; ma immaginare di farlo attraverso un’alleanza con l’attuale Stato Islamico di Teheran sarebbe la più tragica delle illusioni.

 

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:01