I “profughi bambini” invadono la Svezia

martedì 28 luglio 2015


Uno dei gruppi di rifugiati in crescita più rapida in Svezia è costituito dai cosiddetti “profughi bambini non accompagnati”. Nel Paese, negli ultimi dieci anni, è esploso il numero di minori richiedenti asilo. Si presume che il motivo di questo sia dovuto al fatto che le domande di asilo dei bambini vengono elaborate più velocemente rispetto a quelle degli adulti e che le autorità svedesi non verificano l’età di questi “bambini”. Una volta che i profughi ottengono il permesso di soggiorno possono condurre l’intera famiglia in Svezia – anche se quando arrivano nel Paese raccontano di essere soli al mondo.

Nel solo mese di giugno, 1.500 minori richiedenti asilo sono arrivati in Svezia; le autorità ora stanno tentando di trovare il modo di alloggiarli. I minori richiedenti asilo sono un fenomeno relativamente nuovo nell’ambito dell’immigrazione svedese. I primi dati risalgono al 2004, quando in 338 arrivarono in Svezia. Dieci anni dopo, il numero è salito a 7.049, una cifra che quest’anno probabilmente sarà molto più elevata. I minori provengono per lo più dalla Siria, dall’Eritrea, dall’Afghanistan e dalla Somalia, ma pochi sono in possesso di qualsiasi documento d’identità, pertanto, le autorità non sanno davvero da dove essi vengano.

Il problema è che essi non sono accompagnati, non sono profughi e nemmeno bambini. In molti casi, hanno più di 18 anni (come si vede chiaramente nelle foto), e il più delle volte sono giovani molto aggressivi di età compresa tra i 20 e i 30 anni. Tutti sanno che le loro opportunità di ottenere asilo aumentano drasticamente se dichiarano di avere meno di 18 anni. L’espressione “profughi bambini non accompagnati” suona allettante. Induce a pensare a un bimbo di sette anni cencioso, con in mano un orsacchiotto – un bambino a piedi nudi nel mondo. Gli svedesi di una certa età pensano inevitabilmente ai tentativi compiuti nel corso della Guerra d’inverno per aiutare i bambini finlandesi che, all’inizio della Seconda guerra mondiale, si riversarono in Svezia. Nel 1939-1940, circa 9mila bambini finlandesi furono accolti in case famiglia svedesi, mentre i loro connazionali combattevano gli invasori sovietici nella Guerra d’inverno, a due mesi dall’inizio del secondo conflitto mondiale. Pochi giorni dopo la fine della guerra, nel marzo 1940, le autorità iniziarono a rimandare i bambini in Finlandia. Entro metà giugno, di fatto, quasi tutti erano tornati in patria.

I giornalisti svedesi fanno tutto il possibile per mantenere questa immagine di “profughi bambini”. Uno degli esempi più grotteschi risale al 2011, quando un reporter del quotidiano gratuito di Malmö, City, visitò una struttura che ospitava giovani ragazzi e mise tra le braccia di Ahmad Farid, proveniente dall’Afghanistan, un orso polare di peluche. Dicevano che Ahmad avesse 16 anni, ma sembrava molto più grande. Pertanto, per farlo sembrare un bambino indifeso, i giornalisti usarono l’orsacchiotto come puntello. Ma non tutti gli svedesi sono ingenui. La foto è una di quelle più comunemente usate nei media alternativi per dimostrare ciò che viene definito “la truffa dei profughi bambini non accompagnati”. E allora perché giovani di età compresa tra i 20 e i 30 anni decidono di posare come fossero bambini e di essere ospitati nelle strutture di accoglienza e nelle scuole per adolescenti? La risposta è che le domande di asilo dei “bambini” vengono elaborate più velocemente, e il 75 per cento riceve il permesso di soggiorno permanente in Svezia.

Un altro esempio di inettitudine mostrata dai giornalisti svedesi nell’operare una distinzione tra bambini e adulti arriva dal quotidiano Kristianstadsbladet. Nel 2012, il giornale pubblicò la storia di Saad Alsaud, definito il “14enne più veloce della Svezia”, perché detentore del record dei 100 metri dei 14enni svedesi (11,82 secondi). Nella foto, si può vedere il “14enne” che corre con bambini di circa 10 anni – solo che lui sembra essere il padre di questi ragazzini, anziché avere pochi anni più di loro. È inammissibile che i bambini debbano aspettare più di sei mesi la decisione se ottenere o meno il permesso di soggiorno, pertanto, per i richiedenti asilo è un enorme vantaggio dichiarare di avere meno di 18 anni. Poiché i bambini non possono essere ospitati in alloggi destinati ai profughi regolari, essi vengono accolti in case famiglia o in strutture per giovani con problemi sociali, come l’abuso di droga. Questo costa al contribuente svedese fino a 5mila corone (circa 580 dollari americani) al giorno, a persona. In alcuni casi, le contee pagano 70mila corone (8.100 dollari) al mese per un monolocale.

Un dipendente di una struttura che si occupa di “minori non accompagnati” ha raccontato ai media alternativi in forma anonima della truffa. “Isak” (uno pseudonimo), in un’intervista a Dispatch International del settembre 2014, ha detto quanto segue:

“Rischio di perdere il lavoro se parlo di questo. (…) Molti di noi hanno l’ordine di tacere. È una scorrettezza professionale contattare, ad esempio, i servizi per l’immigrazione per informarli che qualcuno mente in merito alla propria domanda di asilo. Immaginate di trovarvi in questa situazione! Chiedetevi se volete rischiare la posizione finanziaria della vostra famiglia e la vostra carriera, se vi state domandando perché ho taciuto così a lungo. Per questo motivo oso dire poco. Tuttavia, internamente, una maggioranza di supervisori delle strutture che ospitano i richiedenti asilo parlano tra loro del fatto che i “bambini”, di fatto, sono adulti, come se fosse del tutto normale. Ma se quello che sto dicendo ora attirerà l’attenzione, di certo, alcuni tabloid riusciranno a informare la minoranza dei supervisori che ancora non sono a conoscenza della portata di questo inganno – per rendersene conto occorre lavorare alcuni anni in questo settore. Si tratta di un processo”.

Nel solo mese di giugno, sono arrivati in Svezia 1.500 “bambini” – il numero più alto di sempre in un solo mese. Sono state aperte in fretta e furia nuove residenze, mentre il personale in vacanza è stato costretto a rientrare al lavoro per occuparsi dei nuovi arrivati. La situazione è particolarmente grave a Gothenburg, una città che quest’anno è arrivata finora a ospitare 403 nuovi bambini. Louise Parbring, direttrice provvisoria dell’Integrazione a Gothenburg, ha parlato così della situazione al quotidiano Gt: “C’è stata un’impennata negli arrivi, di gran lunga superiore a quella che potremmo mai immaginare. In città, la situazione è particolarmente grave”. Pertanto, la Parbring spera che gli abitanti di Gothenburg apriranno le loro case. “Avremo bisogno di famiglie che si occupino di loro. E di volontari per le diverse attività nelle case”. Ma i problemi non sono solamente quelli relativi ai soldi dei contribuenti e alle ferie interrotte del personale. Nel corso degli ultimi anni, gli episodi di violenza nelle case in cui vivono i “bambini” sono diventati sempre più frequenti. Nel dicembre 2014, anche la televisione pubblica svedese, nota anche per fare del suo meglio per nascondere la verità, ha dato notizia di un 15enne afgano che ha picchiato i membri dello staff e ha minacciato gli altri ospiti della struttura. Il ragazzo, tra le varie cose, ha bloccato un 14enne e gli ha premuto la faccia in una coppa di gelato. Ha anche cercato di molestare le ragazze ospiti dell’alloggio, e molte erano talmente spaventate che sono scappate.

Alla fine, il 15enne è stato allontanato dall’alloggio e ora è ben noto alla polizia locale. Alcuni “bambini” lasciano le strutture di loro spontanea volontà. Un paio di anni fa, undici bambini scomparvero da Notgårdshemmet, a Ludvika, perché “insoddisfatti del cibo e per la mancanza di mezzi di trasporto e di attività”. L’episodio indusse il quotidiano Dalarnas Tidning a cercare di scoprire quali fossero davvero le condizioni in cui i “bambini” vivevano. Queste condizioni erano così terribili da spingerli a scappare? Bo Sundqvist, a capo dell’Amministrazione Cultura e Tempo libero della contea e responsabile delle questioni dell’integrazione, ha detto a riguardo: “Tutte le persone che vivono a Notgårdshemmet hanno la propria camera con un letto, una scrivania e una sedia. Hanno un autobus che passa ogni mese; possono avere in prestito biciclette e computer. Ma devono pagare per usufruire di oggetti come cellulari”.

Il giornalista ha scritto:

“Oltre a vitto e alloggio, essi ricevono circa 1.900 corone (220 dollari) al mese. Di queste, 1.050 corone sono un normale sussidio elargito ai bambini o agli studenti, mentre le altre 855 corone sono un sussidio speciale per bambini non accompagnati che non hanno genitori”. Quest’ultima affermazione, però, non è del tutto vera. Torniamo ad Ahmad, il ragazzino afgano con l’orsacchiotto di peluche. Ahmad ha raccontato a City che lui e la sua famiglia vivevano “sotto minaccia” a Kabul, e che i suoi genitori decisero di” pagare un trafficante affinché portasse al sicuro il 16enne Ahmad. In un posto sicuro come l’Europa”.

E qui finiscono i ricordi del ragazzo. Il quotidiano City afferma laconicamente che Ahmad non riesce a ricordare quanto è durato il viaggio, né il nome della città in cui è arrivato quando è sceso dal treno alla stazione centrale di Malmö. Però, sapeva esattamente dove andare: ai Servizi per l’Immigrazione, di Celsiusgatan, dove ha presentato una domanda di asilo. Il giornale elude la questione di come ciò sia stato possibile. Altri Paesi sono riusciti a utilizzare vari metodi per stabilire l’età di chi afferma di essere un bambino, ma questa pratica è considerata invasiva e “pessima”, in Svezia. Di recente, un sondaggio condotto in Danimarca ha mostrato che il 72 per cento dei “bambini” richiedenti asilo, in realtà, non lo è. Il fatto che Copenaghen effettui questi controlli potrebbe spiegare perché solo 818 minori lo scorso anno hanno chiesto asilo nel Paese, di contro ai 7.049 della Svezia. Anche la Finlandia e la Norvegia effettuano test relativi all’età, e si stima che il 66 per cento di coloro che vengono sottoposti al test abbia oltre 18 anni.

Nel settembre 2014, la giornalista Merit Wager ha scritto:

“Sembra altamente improbabile che ci debba essere un’enorme discrepanza tra la Svezia e gli altri Paesi nordici in fatto di età dei ‘bambini’ non accompagnati”. La Wager ha citato Anders Thomas, che ha lavorato per il Servizio Immigrazione per otto anni: “È stata un’esperienza bizzarra, stare lì ed esaminare con attenzione i “16enni” che erano più vicini alla mia età. Allora si aveva la possibilità di verificare l’età; cosa che non è possibile oggi, quando praticamente tutte le persone che affermano di essere minori vengono lasciate entrare. Cosa accade quando questi uomini adulti cominciano a frequentare le scuole superiori insieme ai ragazzi di 16-17 anni?”.

Nel 2013, la Wager ha scritto sul suo blog che ben l’86 per cento di coloro che arrivano in Svezia dicendo di essere minorenni potrebbero essere adulti. In quell’anno, 134 minori richiedenti asilo sono stati sottoposti a test e si è scoperto che 116 di loro avevano più di 18 anni. Gli altri 1.072 “bambini” non sono mai stati esaminati.

La Wager ha scritto:

“Il costo dei minori ‘non accompagnati’ è enorme a causa dell’86 per cento degli adulti che cercano asilo affermando di essere ‘bambini’, se si considerano le cifre fornite dai Servizi per l’Immigrazione e se si applicano a tutte le persone che affermano di avere meno di 18 anni. Non c’è dubbio che stiamo parlando di centinaia di milioni di corone ogni anno. Non per quei 116, ma se presumiamo che questo riguardi l’86 per cento dei presunti minorenni che arrivano in Svezia (nel settembre 2013, sono complessivamente 2.558), le cifre sono impressionanti. Impressionanti!”.

Ed è proprio così, le cifre sono sconcertanti. In un articolo pubblicato nel novembre 2014 dal tabloid quotidiano Expressen, l’addetto stampa del Servizio Immigrazione, Fredrick Bengtsson, ammette che i profughi bambini non accompagnati sono la prossima industria da miliardi di dollari del Paese. E le persone che traggono profitto dai “bambini” sono in molti casi imprenditori privati che forniscono gli alloggi. Con una spesa media giornaliera di 2mila corone (233 dollari) per bambino, i 7mila “minori” rifugiati che sono arrivati lo scorso anno costano 5,1 miliardi di corone (595 milioni di dollari). La storia più recente di un profugo bambino non accompagnato è quella di un 17enne inviato nel 2013 in Svezia come “ancora”. Pare che i suoi genitori abbiano pagato circa 11mila dollari per mandarlo nel Paese; essi pensavano che una volta che il ragazzo avesse ottenuto il permesso di soggiorno anche loro lo avrebbero raggiunto. Ma il 17enne non si è accontentato del mero ricongiungimento familiare, pensava che i contribuenti svedesi dovessero pagare il viaggio a tutta la sua famiglia. Così egli ha inviato ai servizi sociali un conto per un volo aereo di 25.000 corone (2.900 dollari) che è stato respinto. Il ragazzo però non si è lasciato scoraggiare e si è appellato alla decisione, spuntandola.

Una situazione relativamente nuova è quella dei bambini – veramente tali – provenienti dal Marocco. Ma poiché questo Paese non è in guerra, i bambini non hanno motivo di chiedere asilo. Tuttavia, prima che le loro domande vengano rigettate, essi spesso scappano dalle strutture per rifugiati e vagano per le strade di Stoccolma. L’anno scorso, 381 bimbi marocchini hanno chiesto asilo in Svezia. Di solito, sono bambini di strada di Tangeri o Casablanca che hanno cominciato a fare uso di droghe in età precoce e che diffidano delle autorità. Gli agenti di polizia Christian Frödén e Mikael Lins, che operano a Stoccolma, il 10 maggio 2015, hanno raccontato alla tivù pubblica svedese Svt:

“Stimiamo che almeno 200 ragazzini provenienti dal Marocco vagabondino di sera e di notte per il centro della città, commettendo reati. Hanno dai nove anni in su. In molti casi, fumano hashish e sono completamente ignari dell’atteggiamento svedese verso le droghe”.

I ragazzi marocchini commettono crimini come furti di diversa entità, borseggi e rapine, ma le autorità non sanno come gestire i ragazzi che rifiutano di accettare l’aiuto offerto dallo Stato svedese. “Possiamo rinchiuderli negli istituti, ma solo per un breve periodo, per salvargli la vita. Credo che abbiamo bisogno di un coordinamento nazionale per risolvere questo problema”, ha detto Christian Frödén. Il Sevizio Immigrazione afferma di voler consultarsi con gli altri paesi europei e “magari creare qualche nuovo tipo di struttura di accoglienza per questi bambini”.

Come al solito, la Svezia chiede ai suoi contribuenti di aprire i loro portafogli. Non sia mai che le autorità battano il pugno sul tavolo e rifiutino di concedere l’asilo ai bambini di strada del Marocco e agli uomini che fingono di essere bambini, qualcosa che ridurrebbe in men che non si dica il numero dei richiedenti asilo dei “bambini non accompagnati”.

 

(*) Gatestone Institute

Traduzione a cura di Angelita La Spada

 


di Ingrid Carlqvist (*)