Cinque lezioni dalla tragedia di Parigi

I terroristi hanno colpito ancora, nel centro di Parigi questa volta, e con conseguenze devastanti. Quello che abbiamo visto ci ha spezzato il cuore; il più sanguinoso attacco sul suolo francese dalla Seconda guerra mondiale ad oggi, ed a soli dieci mesi dagli attacchi che uccisero 17 persone nella capitale francese.

L'attenzione oggi è verso il lutto per le vittime, il conforto alle loro famiglie, il soccorso ai feriti; è volta a calmare il nervosismo tra la gente, a rinforzare le misure di sicurezza garantendo anche che non ci siano altri terroristi connazionali pronti ad una nuova orgia di violenza. Allo stesso tempo, le autorità devono capire quello che è successo, chi ne erano gli autori, dove si erano addestrati, da dove provenivano le loro armi, e se i servizi francesi non abbiano mancato di captare le avvisaglie di quello che è stato chiaramente un piano sofisticato, non una azione spontanea.

Domani, l'attenzione dovrà spostarsi su cinque fattori a lungo termine. Primo, la solidarietà tra Paesi che la pensano allo stesso modo deve essere permanente, non episodica. Il mondo civilizzato si trova di fronte ad una minaccia transnazionale. I terroristi si spostano, viaggiano, si avvantaggiano dell'Era digitale che non conosce frontiere. Creano reti formali e informali che coprono Paesi, nazioni, continenti. La risposta deve essere all'altezza, c'è bisogno del massimo grado di consultazione, cooperazione e coordinamento tra Paesi che si trovano nella stessa barca. Secondo, è giunto da un pezzo il momento di smetterla di usare eufemismi per descrivere quelli che commettono questi gesti efferati e dire le cose come stanno.

Non si tratta solo di “estremisti violenti”, cosa che ovviamente sono. Non sono solo “terroristi”, cosa che ovviamente sono. Sono Islamisti radicali che traggono ispirazione dalla loro interpretazione della religione, per quanto possa essere una interpretazione perversa. Urlano “Allahu Akhbar”, “Dio è grande”, prima di uccidere. Credono nella Jihad quale forma legittima di violenza. Aspirano al posto promesso loro in paradiso e ai premi che gli spettano nell'aldilà in quanto “martiri”. E pensano di stare mettendo in pratica il volere di Dio. Terzo, questo è un momento cruciale per la Francia, e per l'Europa tutta. Deve esserne all'altezza, perché la posta in gioco è troppo alta. E chi, da fuori, deride cinicamente l'Europa dicendo che essa sia ormai soltanto un relitto del passato, commette un errore madornale. L'Europa deve vincere questa epica lotta.

Se non ce la farà, allora il mondo intero – o almeno quella parte del mondo che crede nei valori democratici, nel diritto, nel pluralismo e nella protezione della dignità umana – perderà. L'Europa e i suoi alleati devono trovare la volontà e la capacità di contrattaccare, di difendersi e di trionfare. Non sarà né facile né rapido. Ma sperare che il problema possa un giorno scomparire da solo non è una valida strategia, così come non lo è legare le mani o tagliare i bilanci della difesa, dei servizi segreti, delle forze dell'ordine. Cosi come non lo è difendere la privacy a tutti i costi, come vorrebbero alcuni puristi, anche a costo di mettere a rischio la sicurezza personale e nazionale. C'è bisogno di qualche ragionevole compromesso nelle moderne società democratiche, altrimenti le conseguenze saranno gravissime. Quarto, fin quando il Medio Oriente e l'Africa del Nord rimarranno instabili, le sfide geopolitiche saranno immense. Non c'è strada facile per uscirne fuori.

Gli Usa l'hanno imparato sul campo quando provarono - fallendo - a costruire una nuova nazione irachena, cercando poi una strategia d'uscita dall'Iraq, che non andò come previsto. E l'abbiamo imparato anche in Siria, dove non ci sono buone opzioni da cui scegliere, solo alternative tra le cattive o le peggiori. Detto questo, noi, gli Usa e l'Europa, non possiamo permetterci di rimanere a un tiro di schioppo e sperare di uscirne indenni. Gli eventi di questi giorni hanno ampiamente dimostrato come questo sia un concetto fallimentare. L'Europa è inondata da migranti provenienti da Paesi falliti o sull'orlo del fallimento, e non se ne vede la fine. Qualunque sia il nobile intento dell'Europa, le sfide sono immense: cercare di capire chi siano veramente queste persone; sviluppare strategie a breve termine per dargli cure e alloggio; pianificare la loro integrazione e acculturamento, ben sapendo quanto è stato spesso difficile nel passato assorbire le generazioni provenienti da queste regioni, il tutto mantenendo alta l'attenzione nei confronti di individui disilllusi o pericolosi che possano decidere di diventare nemici per i loro nuovi Paesi.

In altre parole, se non andiamo noi in Medio Oriente (ed in Nord Africa), il Medio Oriente verrà da noi in modi che potrebbero rivelarsi dirompenti, per non dire mortali. E in ultima analisi, quand'è che l'Europa si sveglierà finalmente e si accorgerà che l'Israele democratica è parte della soluzione, non il problema? In fondo, la Francia - così come Belgio, Danimarca, Germania. Spagna, Regno Unito, ecc. - ha di fronte un terrorismo che è parente strettissimo di quello che affronta Israele. Alcuni leader europei fanno salti mortali per negare questa ovvia verità, cercando in tutti i modi di fare dei distinguo che sono in realtà ampiamente inesistenti, lasciando intendere che Israele in qualche modo “se l'è cercata”, al contrario dell'Europa. Guardiamo in faccia la realtà. I responsabili dell'Undici Settembre odiavano l'America e quello che rappresenta. Non gliene può fregare di meno quale partito sia al governo, perché hanno attaccato le torri gemelle sia quando era Presidente Clinton sia quando era Bush a sedere nell'Ufficio Ovale.

Lo stesso discorso vale per l'Europa. Vogliono colpire il sistema di valori europei – la sua democrazia, la sua apertura, la sua libertà e il suo laicismo. E lo stesso discorso vale per Israele. I terroristi di Hamas (con cui l'Autorità Palestinese ha stretto un patto), gli Hezbollah manovrati dall'Iran, la Jihad Islamica e l'Isis desiderano la scomparsa di Israele, punto e basta. Non gli interessa chi siede al governo di Gerusalemme o come si possa fare a raggiungere un accordo a due stati, vogliono semplicemente estendere il loro dominio all'intero territorio.

Come possiamo allora assicurarci che la tragica barbarie di Parigi non venga presto dimenticata o che diventi solo l'ennesima da aggiungere alla lista degli attacchi terroristici di cui indignarsi? Essenzialmente, si tratta di perseguire due strategie contemporaneamente: dedicarci con rinnovato vigore ai valori che i terroristi vorrebbero distruggere, e ritrovare la spina dorsale mostrando la volontà di sconfiggere i nostri avversari. Loro hanno il loro mondo, un mondo – come abbiamo potuto vedere – fatto di attacchi suicidi, decapitazioni, intolleranza, oppressione delle donne e soffocante dottrina religiosa. Noi abbiamo il nostro mondo – un mondo che aspira ai diritti umani, all'eguaglianza, alla libertà di culto e al rispetto reciproco. I tragici fatti di Parigi dovrebbero ricordarci ancora una volta che, sia che viviamo in Francia o altrove, il nostro mondo vale e ha bisogno di essere difeso.

 

(*) Direttore Esecutivo dell’Ajc

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:06