Che fare dopo Parigi?

martedì 24 novembre 2015


Quello che la storia descriverà come i tragici e cataclismatici eventi francesi e la paura terroristica in Europa hanno fatto saltare gli incontri del Presidente iraniano sia in Italia che in Francia. Nonostante ciò resta valida e viva la proposta di democrazia che a partire dalla dissidenza iraniana, in particolare dal Consiglio Nazionale della Resistenza Iraniana, chiede con forza alla comunità internazionale di puntare i riflettori sullo stato dei diritti umani e della dignità all’interno dello Stato iraniano. Ciò che in questi giorni abbiamo reso pubblico, come coalizione di organizzazioni non governative, con una campagna sulla situazione dei diritti fondamentali in Iran, attraverso la pagina facebook “MovingRights4Iran” e l’hashtag #‎DiteloaRouhani per far conoscere ai cittadini e alla classe dirigente del nostro Paese quali sono le continue violazioni dei diritti umani in Iran dovrebbe essere al centro del dibattito politico internazionale.

La faccia moderata che l’informazione nazionale appiccica a Hassan Rohani è sostanzialmente falsità. Durante il corso del 2015 siamo già a duemila esecuzioni nel Paese. Non si tratta solo della pena di morte, ma anche le continue violazioni dei diritti delle donne, le violazioni delle convenzioni internazionali sui diritti del fanciullo e gli arresti continui di intellettuali, registi e poeti che con la satira e con il lavoro artistico denunciano quello che succede nel Paese. Ha ben riportato l’Ambasciatore, già ministro degli Esteri, Giulio Terzi, qual è la situazione iraniana nell’attualità politica: “prima dell’Isis, l’Iran ha inventato il concetto di esportazione dell'estremismo islamico, del sostegno ai regimi di Iraq, Siria e ovunque, incoraggiandoli all'attuazione del settarismo e all'aumento dei massacri. Anche se le milizie sciite, che hanno agito da squadroni della morte contro i sunniti in Iraq o compiuto enormi massacri in Siria, non hanno provocato per intero l’ascesa dell'Isis, ne hanno innegabilmente alimentato il fuoco e continuano a farlo. Deve esserci tolleranza zero da parte dell'Occidente per la nefasta ingerenza dell'Iran in Siria e, come hanno detto i membri dell'opposizione pro-democrazia siriana, è fuori questione che si dia la parola a Teheran sul futuro politico della Siria. Se l’invasione statunitense dell’Iraq ci ha insegnato qualcosa, è che imporre un'ideologia che non sia appoggiata a livello popolare, solo dall’esterno, è una politica disastrosa. Al contrario, lavorare con le parti in causa moderate e impegnate verso un governo inclusivo, interessi simili e, se possibile, simili valori, è di gran lunga la via migliore da prendere. Ciò significa lavorare con i curdi e le forze moderate in Siria per rimpiazzare Assad e combattere l’Isis, ma significa anche lavorare con quegli stessi alleati contro l’estremismo iraniano. Fortunatamente in questo caso abbiamo un partner grande e organizzato, con il quale condividiamo non solo l’obiettivo di un Governo inclusivo e persino gli interessi, ma anche i valori. Questo gruppo è il Consiglio Nazionale della Resistenza Iraniana (Cnri)”.

La Repubblica islamica detiene il triste primato mondiale di esecuzioni di minorenni, che sono raddoppiate nel 2014 e sono continuate nel 2015, fatto che pone l’Iran in aperta violazione della Convenzione sui diritti del fanciullo e del Patto internazionale sui diritti civili e politici che pure ha ratificato. Le impiccagioni di appartenenti alle minoranze etniche e religiose per fatti non violenti o di natura essenzialmente politica si sono intensificate nel 2014 (almeno 32) e nei primi mesi del 2015 (almeno altre 16). Ma è probabile che molti altri giustiziati per reati comuni o per “terrorismo” fossero in realtà oppositori politici, in particolare appartenenti alle varie minoranze etniche iraniane, tra cui azeri, curdi, baluci e ahwazi. Accusati di essere mohareb, cioè nemici di Allah, gli arrestati sono di solito sottoposti a un processo rapido e severo che si risolve spesso con la pena di morte. Le esecuzioni per motivi politici ordinate dalla Repubblica islamica guidata da Rouhani sono l’ultimo capitolo di una storia iniziata nell’estate 1988 quando, in seguito a una fatwa di Khomeini, sono stati impiccati oltre 30mila prigionieri politici, in massima parte simpatizzanti dei Mojahedin del Popolo Iraniano (Pmoi), accusati di essere “nemici di Allah”. Mentre molte organizzazioni per la difesa dei diritti umani l’hanno definito un crimine contro l’umanità, molti dei responsabili di quel massacro fanno oggi parte della classe dirigente del regime. Come Mostafa Pourmohammadi e Seyed Ebrahim Raisi, due dei cinque membri del cosiddetto “Comitato del perdono” che Ruhollah Khomeini aveva inviato nelle carceri e poi rivelatosi essere un “Comitato della morte”, divenuti oggi, rispettivamente, ministro della Giustizia e procuratore generale della Repubblica islamica.

Anche i casi dello scienziato Omid Kokabee accusato dalla Repubblica islamica dell’Iran di “contatti con Governo ostile” che di Mohammad Ali Taheri, un cittadino iraniano condannato a morte perché accusato di “diffondere la corruzione in terra”, dovrebbero far riflettere su quello che avviene nel Paese e sulla vera faccia “moderata” dell’attuale regime. La contemporaneità politica mette in risalto delle priorità, riassumibili nel messaggio di Sergio D’Elia, segretario dell’organizzazione “Nessuno tocchi Caino”: “Le massime autorità dovrebbero presentare ad ‎Hassan Rouhani l’elenco delle violazioni dei diritti in Iran”. Mai come ora e dopo i tragici fatti di Parigi, le migliaia di morti in Siria e in generale la situazione di continuo degrado di civiltà e morte perpetua nel mondo Medio orientale pone al centro del dibattito transazionale la battaglia radicale per l’affermazione in ambito Onu e con la Lega Araba del progetto di Stato di diritto contro la ragion di stato e per il diritto umano alla conoscenza. L’invito al Governo italiano è quello di far propria la campagna di Marco Pannella, di Matteo Angioli, di Nessuno tocchi Caino, del Partito Radicale e di “Non c’è pace senza giustizia” per “la transizione dalla ragion di stato allo stato di diritto e per il diritto umano alla conoscenza” a partire dal mondo arabo e musulmano. D’altronde è diritto dei cittadini italiani ed europei conoscere lo stato dei diritti umani nel mondo mediorientale. Soltanto la formulazione e l’applicazione del diritto umano alla conoscenza farebbe spostare l’attenzione della classe politica delle nostre “democrazie reali” verso un vero dibattito politico che pone al centro delle problematiche mondiali la tutela dei diritti umani. Ciò concretizzerebbe anche quella auspicata riforma delle Nazioni Unite che molti attivisti per i diritti umani da anni richiedono.


di Domenico Letizia