Una “zona grigia” d’Occidente

mercoledì 25 novembre 2015


In seguito agli attentati di Parigi del 13 novembre ultimo scorso, emerge con durezza la necessità di una migliore cooperazione a livello europeo nella lotta contro il terrorismo. I messaggi di cordoglio da soli non sono sufficienti. Gli attentati hanno permesso alla Francia di evidenziare con fermezza le mancanze che l’Unione Europea deve colmare in modo sinergico non solo dal punto di vista della lotta al crimine organizzato, poiché la repressione da sola non basta, ma occorre intervenire anche dal punto di vista economico, politico sociale e culturale.

Un’analisi condotta da Challenges (16-11-2015) intitolata “la passivité coupable de l'Europe face à la menace terroriste” invita i Paesi dell’UE ad aprire gli occhi ed evidenzia l’assenza di una sinergica politica di difesa a livello europeo.

La Tribune in un articolo intitolato “L'Europe dispose-t-elle du cadre adéquat pour faire face au défi terroriste?” (16/11/2015), rileva come gli attentati contro la Francia abbiano posto l’Europa di fronte alle sue molteplici e ancora irrisolte lacune in ambito diplomatico, militare ed economico. Ancora non esistono una forte e unita diplomazia europea e una politica europea di difesa. Inoltre la crisi migratoria è continuamente soggetta a strumentalizzazioni di tipo propagandistico. L’Unione Europea può fare solo ciò che i suoi Stati Membri vogliono che faccia. Le sue competenze sono stabilite nei trattati e manca un vero sistema di intelligence strutturato a livello europeo.

Libération, il 18 novembre 2015, in “Abaaoud, le jihad sans frontières” evidenzia uno dei paradossi della lotta al terrorismo a livello europeo. Contrariamente agli individui, che circolano liberamente all’interno dello Spazio Schengen, la maggior parte delle informazioni detenute dai servizi di intelligence restano bloccate tra le frontiere.

Nell’articolo intitolato “La réponse efficace au terrorisme passe par Bruxelles” del 17/11/2015 pubblicato da Les Echos, l’eurodeputato Sylvie Goulard evidenzia come una soluzione efficace debba passare almeno in parte da Bruxelles.

Le Monde in “La Belgique au cœur des réseaux djihadistes” del 16/11/2015 evidenzia l’importante posizione strategica ricoperta dal Belgio all’interno della rete djihadista in Europa. Tuttavia l’articolo “Antiterrorisme: la Belgique veut renforcer la coopération en Europe” del 16 novembre 2015 pubblicato da Liberation pone in evidenza come il Belgio voglia rinforzare la cooperazione a livello europeo nella lotta contro il terrorismo.

La clausola di solidarietà europea invocata da Hollande non presenta una definizione sufficientemente dettagliata dell’aiuto e dell’assistenza che dovrebbero essere forniti alla Francia. La problematica dell’esistenza di un eventuale obbligo imposto dalla Francia agli altri Stati Membri è dibattuto nell’articolo “La France peut-elle contraindre les pays européens à lui porter assistance?” pubblicato il 16/11/2015 da Le Monde. Manuel Valls sottolinea come questo conflitto non riguardi solo la Francia, ma l’Unione Europea nel suo complesso (Le Figaro).

La maggior parte degli Stati Membri dell’UE si dichiara solidale con la Francia, ma rifiuta di dichiararsi “in guerra” e di sposare la retorica di François Hollande (Le Monde, “Les Européens ne se sentent pas en guerre”, 18/11/2015) Oltre a questi limiti, un’ombra da destra mira a spingere l’Europa verso il degrado. Mentre Le Monde nell’articolo intitolato “Politique migratoire: François Hollande garde le cap” (16/11/2015), parla di come la Francia punti a restare inflessibile sulle politiche di accoglienza, Liberation nell’articolo “Orban: les terroristes «ont exploité les migrations de masse»” (16 novembre 2015) cita il Premier ungherese Viktor Orban il quale parla di come i terroristi abbiano sfruttato le migrazioni di massa. Courrier International nell’articolo “Le nouveau gouvernement polonais durcit sa position sur les migrants” (16/11/2015) evidenzia come in Polonia sia stata avanzata l’idea inedita di rinviare i siriani nel loro Paese.

In Occidente alcuni movimenti politici di destra, ma non solo, con propagande sempre più sofisticate nell’orientare il dibattito da un ambito solitamente “equilibrato” verso tematiche più estreme, sembrano non solo soggetti orbitanti intorno al Daesh, ma paiono quasi qualificarsi come docili dispositivi che si flettono ai suoi progetti politici ed economici con, a volte, un’intuibile, grigia e ambigua affidabilità. L’immagine di un’Europa e di un Occidente come baluardo di crociati e non più culla e custode di idee universali sancite nelle carte dei diritti che riguardano ogni essere umano, adempie minuziosamente al compito attribuitogli dalla pseudo dottrina politica di Daesh.

Illusorio è tentare di ricondurre il mondo a una visione manichea, eliminando completamente qualunque zona grigia. Tuttavia l’Europa e gli Stati occidentali, nell’accogliere i richiedenti asilo e i rifugiati, intralciano ogni espressione dell’industria propagandistica del terrore dell’altro, evidenziando non solo l’aspetto difensivo dei propri valori fondanti, ma anche una memoria storica che, non ripiegandosi a mera retorica, punta a sviluppare ed affinare dispositivi politici, economici e giuridici incentrati sulla pace e l’inclusione, atti ad annientare il fondamentalismo islamista e qualsiasi altra dottrina manichea. Respingere indiscriminatamente come possibili terroristi coloro i quali, carichi di disperazione e di speranza, fuggono da specifici contesti, non fa altro che esacerbare il problema del terrorismo. Sarà solo una questione di tempo e molti di costoro e/o dei loro figli si ripresenteranno, dopo essere stati radicalizzati in un campo profughi, come rancorosi e pericolosi jihadisti.

Il tema di una chiusura necessaria da parte degli Stati, deve essere dibattuto anche di fronte alla questione di un potenziale attentatore arrivato attraverso le rotte dei profughi. L’obiettivo principale deve essere lo sviluppo concreto di politiche pubbliche sempre più efficienti, che non lascino i rifugiati alla mercé delle organizzazioni criminali capaci anche di fornire false identità. E’ necessario che queste persone raggiungano l’Europa, ma non come clandestini, esposti al rischio di morte in mare e/o in terra, esposti a vari traffici quali il mercato degli organi e/o impiegati come corrieri. Corridoi umanitari sempre più efficienti dalle realtà territoriali accessibili devono effettuare monitoraggi e registrazioni non emergenziali, ma consentendo trasbordi sicuri, gestiti da e tra gli Stati Membri dell’UE. Tutto ciò non è mero buonismo, ma una razionale strategia per tutelare sia la vita di chi fugge, sia la sicurezza dei cittadini dei Paesi di accoglienza.

 

(*) Esperto di politiche europee per l’inclusione presso l’Osservatorio del Miur per l’integrazione degli alunni stranieri


di Danilo Turco (*)