La strategia dell’Isis

Secondo gli analisti di alcuni servizi di intelligence occidentali, dietro agli attentati che hanno insanguinato Parigi e prima ancora causato l’esplosione dell’Airbus di linea russo sul Sinai e colpito un centro commerciale nella periferia a maggioranza sciita di Beirut, ci sarebbe Abu Muhammad Al Adnani, il portavoce ufficiale dell’Esercito islamico, uno dei luogotenenti più fidati del califfo Abu Bakr al-Baghdadi. A lui, siriano, nato vicino ad Aleppo 38 anni fa, il leader supremo avrebbe affidato il comando delle operazioni all’estero e il coordinamento delle cellule jihadiste fuori dai territori controllati dall’Isis.

Al Adnani, che è uno dei capi del daech in Siria, era diventato noto nel settembre 2014, poco dopo l’avvio delle operazioni militari della coalizione occidentale contro l’Isis in Iraq, quando aveva incitato sul web i musulmani che vivono in Occidente – e aveva indicato espressamente la Francia - a uccidere i civili nei loro paesi ricorrendo a ogni mezzo possibile. 

Con Al Adnani avrebbe lavorato a stretto contatto sin dal suo arrivo in Siria il ventottenne francese di origini marocchine Abdelhamid Abaaoud, ritenuto la mente degli attentati di Parigi, ucciso dalle forze speciali francesi nel blitz a Saint Denis. Abaaoud si sarebbe fatto notare dal portavoce dell’Isis per la sua determinazione e la sua capacità di attirare foreign fighters di lingua francese nelle fila dell’esercito Islamico. Da qui la sua designazione a capo delle cellule jihadiste in Francia. Secondo gli stessi analisti, gli attentati a Parigi e Beirut e l’abbattimento dell’aereo russo in Egitto sarebbero i primi risultati di una campagna terroristica 1 pianificata a livello centrale, su mandato del califfo al-Baghdadi, dall’ala siriana di Daech, la più radicale, che mira a esportare la jihad a livello globale. I jihadisti siriani, che a Raqqa hanno la loro roccaforte, starebbero prendendo il sopravvento sulla componente irachena dell’Isis, quella di Mosul, più interessata invece al consolidamento di uno Stato Islamico, sunnita, in Medio Oriente. Quelli di Mosul sono gli ex ufficiali sunniti dell’esercito di Saddam Hussein e i dirigenti del vecchio regime iracheno scappati dopo la caduta del dittatore e l’avvento degli sciiti a Bagdad nel 2003.

Al Adnani avrebbe scalato diverse posizioni nella gerarchia jihadista e sarebbe divenuto uno dei principali responsabili dell’Isis e avrebbe convinto al-Baghdadi al cambiamento di strategia, con l’obiettivo di strappare la leadership della jihad globale ad Al Qaeda, dal quale l’esercito Islamico si è scisso nel 2013.

Come in tutte le organizzazioni, anche all’interno di daech i cambi di strategie sarebbero dunque dettate da dinamiche di potere e ambizioni politiche delle diverse anime della galassia jihadista. Nel primo periodo dalla nascita dell’Isis, accanto al califfo al-Baghdadi, l’iracheno che ha fondato l’organizzazione jihadista e ne divenuto guida spirituale e comandante supremo, sono stati gli ex ufficiali e i dirigenti di Saddam Hussein a ricoprire i ruoli principali; sono stati loro a pianificare la strategia del movimento e le azioni militari, a mantenere i rapporti con gli sponsor e i vari alleati in Turchia, in Qatar e in altri paesi sunniti; sono stati gli iracheni a trovare i finanziamenti, sono stati loro ad organizzare il ricco commercio clandestino di petrolio e ad amministrare le città occupate.

In questa prima fase l’obiettivo dei jihadisti è stata l’espansione territoriale in Iraq e Siria per creare uno stato sunnita, un califfato islamico, con proprie leggi, con un esercito che potesse difendere i propri confini e un governo che sapesse gestire i propri affari interni. Gli attacchi di Parigi 2 rappresentano invece un nuovo punto di partenza per l’Isis e farebbero emergere, secondo gli analisti, anche un cambiamento di leadership all’interno del daech. Con la componente siriana di Al Adnani più forte nella gerarchia dell’organizzazione islamista, si sarebbe adottata una diversa strategia: colpire duramente i nemici occidentali nel cuore delle loro città e stravolgerne la normalità della vita quotidiana in una nuova forma di guerra psicologica. Sono cambiati anche gli strumenti della propaganda jihadista del terrore: dapprima, dai territori occupati, i video lanciati globalmente sul web dei feroci omicidi di decine di oppositori, cristiani, jazidi o sciiti, e le macabre decapitazioni degli ostaggi, con l’obiettivo di diffondere la paura nel nemico occidentale e arabo sciita. Il messaggio era chiaro e forte: “non venite nei nostri territori perché questa è la vostra fine” e l’intenzione jihadista andava anche oltre provando a creare un solco tra governanti occidentali e le loro opinioni pubbliche, scioccate e disgustate da quanto accadeva.

E allora dietro gli attacchi di Parigi ci potrebbe essere, dicono gli studiosi occidentali del fenomeno jihadista, una nuova folle logica; non basta più mostrare le decapitazioni di occidentali nel deserto arabo, ma occorre colpire al cuore, nelle loro capitali, i paesi che hanno osato attaccare il califfato. La strage di decine di civili, giovani inermi, assassinati mentre conducono le attività di una normale quotidianità, come mangiare in un bistrot, riunirsi spensierati con gli amici in un caffè, partecipare in gruppo a concerti, ripresa dalle telecamere di tutto il mondo – è questo quello che vogliono i terroristi – semina il panico generale. Gli assassini di Parigi e i loro mandanti a Raqqa, in Siria, si attendevano che l’ondata di panico potesse fiaccare il coraggio francese e determinare l’interruzione dei bombardamenti nel califfato. Ma questo macabro disegno è fallito miseramente: l’unico cambiamento che i 130 morti di Parigi hanno provocato è esattamente il contrario, e cioè una reazione militare ancora più dura e una risposta di tutto l’occidente contro i terroristi di daech. L’errore di calcolo delle menti malate che hanno voluto gli attentati di Parigi potrebbe essere ancora più grave per l’Isis: la componente irachena, 3 di Mosul, il cui sogno era di potere riconquistare la forma di uno stato- nazione, di fronte al pericolo di vedere il califfato distrutto dalle potenze occidentali potrebbe reagire sciogliendo l’alleanza con i siriani di Raqqa e i jihadisti loro alleati provenienti dalla Cecenia, dall’Arabia Saudita e dal Maghreb, che cercano invece una jihad globale. E sarebbe la disgregazione dell’Isis e l’implosione del califfato islamico.

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 17:39