Iran degli ayatollah: le tante maschere

martedì 2 febbraio 2016


La grottesca vicenda delle statue coperte ha avuto anche un effetto positivo: travalicando completamente le intenzioni di chi l’ha determinata, ha mostrato all’Italia e a buona parte del mondo che idea si debba avere, in realtà, non certo del popolo iraniano, ma di quel regime e dei suoi rappresentanti. Grazie all’esplosione mediatica internazionale, è stato ricordato a centinaia di milioni di persone che si tratta di un sistema ottusamente sessuofobico, dalla qual cosa discende ogni sorta di repressione; e la mascheratura delle statue – pur frutto di incompetenza abissale – è stata la visualizzazione perfetta di come in Iran si soffochino i corpi e quindi gli animi.

Le statue inscatolate rendono l’immagine del coprire, per legge e con sanzioni di estrema violenza, le forme e i capelli delle donne; del nascondere – pena la tortura e la morte – qualsiasi tipo di sessualità non ammesso; ma anche del ‘velare’ l’intero sistema politico, giuridico e sociale nel tentativo di far credere al resto del mondo che si tratti di un Paese tutto sommato riconducibile a logiche democratiche e di evoluzione sociale senza che il regime cambi. È questa la maggiore finzione, la più grossolana mascheratura. In questo senso, quando i dirigenti di “Nessuno tocchi Caino” hanno concluso la conferenza stampa di presentazione del dossier sulla pena di morte in Iran indossando maschere con il volto sorridente di Rohani non hanno fatto altro che rispecchiare quello che il regime fa periodicamente, ogni qual volta pone nel ruolo simbolico di “capo dello Stato” una maschera presentabile anziché una scostante – un Khatami o un Rohani anziché un Ahmadinejad.

Nessun cambiamento che non sia meramente di facciata è possibile senza la fine del regime stesso, che non a caso riconduce anche nella Costituzione della “Repubblica islamica” tutto il potere al “Supremo Giureconsulto”: l’ayatollah Khomeini dal 1979 alla sua morte, l’ayatollah Khamenei dal 1989 e finora. Khomeini stesso, teorizzatore di questo principio, disprezzava il concetto di assemblee legislative democraticamente elette, considerando le leggi poco più che stesure dei principî coranici secondo l’interpretazione propria.

Solo con tanta buona volontà, spinta al punto di prescindere dai dati di fatto, è possibile illudersi che l’Iran abbia elezioni democratiche. Non solamente nessuno può candidarsi alla carica di presidente senza l’approvazione del Supremo – con ciò rendendo poco credibile l’idea di un’alternativa concreta; ma ciò che molti media e troppi politici vorranno farci credere essere un “Parlamento”, le cui elezioni sono previste per il 26 febbraio, non è altro che una debole “Assemblea consultiva islamica”. E anche per potersi candidare ad essa occorre superare il vaglio del “Consiglio dei Guardiani” (composto da dodici giuristi islamici di cui sei direttamente nominati dal Supremo e sei di sua fiducia), che può ad ogni buon conto bloccare qualsiasi legge.

Il marchingegno delle pseudo-elezioni iraniane non si ferma qui. Il 26 febbraio si voterà anche per la “Assemblea degli Esperti”, un organismo con mandato decennale composto da 88 ayatollah che si riunisce a porte chiuse per un paio di giorni ogni sei mesi e che ha il potere di eleggere e teoricamente di far dimettere il Supremo Giureconsulto. Peccato che sia l’Assemblea stessa a preparare una lista di chi può candidarsi; e che, come se questo non bastasse, il Consiglio dei Guardiani possa poi porre il proprio veto anche su tali nomi.

(*) Antonio Stango ([email protected]) è membro del Consiglio direttivo di “Nessuno tocchi Caino” e coordinatore del Congresso mondiale contro la pena di morte


di Antonio Stango (*)