Primarie Usa 2016, la sfida entra nel vivo

giovedì 4 febbraio 2016


I caucus sono un tipo di sistema di voto veramente singolare. Non sono molti gli Stati americani che adottano questo tipo di soluzione, perché non si tratta solo di spingere un pulsante in una cabina elettorale per dare una preferenza. Solitamente gli iscritti alle votazioni si ritrovano in case private, palestre, magazzini, fabbriche e, se non c’è molto freddo, perfino in aree all’aperto. Poi ci si riunisce in vari gruppi che rappresentano i vari candidati e, dopo accese discussioni (dove si cerca di influenzare l’indeciso o un gruppo di opinione opposta) si decide chi votare secondo regole stabilite in precedenza dalle rappresentanze dei partiti: chi per alzata di mano, chi tramite una apposita scheda. In questo scenario, insolito ed al tempo stesso affascinante, si sono conclusi i caucus in Iowa che hanno visto vincitori Ted Cruz per i repubblicani ed Hillary Clinton per i democratici.

In casa repubblicana Ted Cruz è riuscito a sovvertire un pronostico che sembrava annunciato, vincendo il caucus con il 28% delle preferenze. Donald Trump è arrivato secondo con il 24%, vicinissimo a Marco Rubio al 23% e via via tutti gli altri (Mike Huckabee, già protagonista negli anni passati, con il risultato deludente dell’1,8% ha già deciso di ritirarsi).

I sondaggi tra gli elettori Gop hanno visto per quasi sette mesi Donald Trump dominatore incontrastato. Ad esempio in Iowa, per la media Rcp dei vari sondaggisti il milionario veniva dato con un vantaggio sugli inseguitori di quasi 5 punti e mezzo percentuali. E dove ha vinto realmente Cruz nonostante i sondaggi? Sugli indecisi. Si è scoperto infatti che Trump ha stravinto negli entrance polls, cioè quelli che avevano già deciso prima di votare, ma ha raccolto poco fra quelli che hanno deciso in seguito (13%).

Viceversa, Marco Rubio, ha stravinto proprio fra gli indecisi ottenendo un risultato più che soddisfacente (incollato a Trump), visto che lo Stato dell’Iowa è in prevalenza rurale, di pelle bianca e molto restio a votare le etnie in minoranza (Rubio è di origine cubana). Questo dovrebbe farlo ben sperare per il proseguo della campagna elettorale. Invece, se per Cruz non ci sono state grosse sorprese (i sondaggi hanno confermato i suoi voti) lo stesso non possiamo dire per Donald Trump. Alcuni analisti pensano che il non presentarsi all’ultimo debate su Fox News sia stato determinate, ma guardando i dati si scopre che, anche se a livello nazionale risulta ancora in testa, non si può non considerare che la sua percentuale sia davvero esigua rispetto alla totalità dell’elettorato. Trump, in realtà, non piace a più della metà degli elettori conservatori e basterebbe poco per pareggiare i conti, con gli indecisi a fare la differenza. Dopo la prima votazione il conteggio dei delegates vede Cruz a 8, Trump e Rubio a 7, Carson a 3, Paul e Bush a 1. Ricordiamo che il magic number per raggiungere la nomination alla convention repubblicana prima dell’election day di novembre è di circa 1237 delegates.

In ambito democratico, invece, Hillary Clinton non è riuscita a sfondare (49,9%) e ha prevalso di solo 4 voti sul suo rivale Bernie Sanders (49,6%). Quest’ultimo ha addirittura richiesto un riconteggio delle schede, visto l’esiguo scarto di voti. La Clinton in Iowa aveva nella media sondaggi un vantaggio su Sanders di 4 punti. Che cosa quindi non ha funzionato per lei l’altra notte? Verso le 20 (ora americana) gli exit polls davano l’ex Segretario di Stato avanti sull’avversario di ben 8 punti percentuali. Col passare del tempo, però, le cose hanno iniziato a scricchiolare nonostante il suo entourage continuasse a proclamare la vittoria. Le cose sono andate peggiorando durante la serata, soprattutto nella conta dei voti, costringendo la ex first lady ad uscire molto prima del previsto (intorno alle 23) per il suo discorso ai fedelissimi. Un discorso spento e poco convincente. Alcuni analisti hanno addirittura ipotizzato il fatto che lo speech prematuro, quando ancora i dati non lo permettevano, sia stata una tattica per evitare più tardi di dover affermare pubblicamente la vittoria di Sanders. In definitiva nessuno dei due ha vinto: la Clinton ha perso tutto il vantaggio accumulato nei sondaggi, vincendo però sul filo di lana, mentre Sanders, che è andato meglio delle aspettative, non è riuscito a portare a casa un risultato positivo. A puro titolo di statistica, è stato del tutto ininfluente il ritiro dalla campagna elettorale del terzo candidato (di cui si è parlato poco) O’Malley (0,6%).

Hillary Clinton rimane comunque la super favorita a livello nazionale, ma è indubbio che le criticità, già affiorate nei mesi scorsi, stanno venendo a galla. Fra tutte il problema legato alla sua identità politica, troppo vicina all’establishment che ha governato il Paese per anni, messa in contrapposizione con quella del Presidente in carica. Questo sta indubbiamente facendo la differenza negli elettori democratici: troppo difficile la sostituzione di un cavallo vincente come Obama. E poi ci sono gli scandali: fra tutti l’affaire Bengasi ed il server privato di quando era Segretario di Stato. Non sarà semplice per lei far dimenticare il suo ruolo politico nelle più alte sfere delle istituzioni dopo un Presidente in carica che, per otto anni, si è definito un “non politico” vicino al popolo. Nonostante tutto la Clinton rimane la candidata principale perché indubbiamente, da qui in avanti, per lei la mappa elettorale si fa più semplice. Guardando solamente il mese di febbraio: New Hampshire, Nevada e South Carolina sono tutti Stati a lei favorevoli e sarà difficile per Sanders poter opporre resistenza. Nel mese di marzo, nel Super Tuesday (si vota in 13 Stati), forse Sanders potrebbe spuntarla in 3-4 Stati, troppo pochi. La Clinton rimane molto forte negli Stati del Sud e in tutti quegli Stati da sempre democratici, con i pronostici tutti dalla sua parte. Al momento il conteggio dei delegates vede la Clinton a 22 e Sanders a 21. Ricordiamo sempre che il magic number dei delegates per il Partito Democratico, che porterà alla convention per l’election day di novembre è di 2382.

Ora tutti gli occhi sono già puntati sulle primarie del 9 febbraio in New Hampshire. La sorpresa del voto repubblicano e le difficoltà della Clinton hanno senza dubbio messo altra benzina sul fuoco di un percorso elettorale già di per sé costellato di incertezze.


di Cristoforo Zervos