Morte di Bin Laden:   l’Operazione Geronimo

In “Nome in codice Geronimo”, l’avvincente film che ricostruiva minuziosamente l’operazione della Cia per catturare Osama Bin Laden, ha un ruolo solo marginale, ma il dottor Shakeel Afridi, un medico pakistano ora cinquantenne, fu l’elemento determinante che dette il via all’azione delle Navy Seals che il 2 maggio 2011 eliminarono Osama Bin Laden, il fino allora imprendibile fondatore e capo di Al Qaeda.

Nel 2011 Shakeel Afridi era primario all’ospedale di Jamrud, una cittadina del nord ovest del Pakistan, nella zona di Khyber di cui è originario. La Cia lo aveva arruolato tra le sue fonti operative già da molto prima dell’operazione che avrebbe portato alla localizzazione dell’ideatore degli attentati dell’11 settembre 2001. Agli agenti americani il dottor Afridi raccontava dei movimenti dei talebani e dei terroristi di Al Qaeda in Pakistan, in particolare dei ricoveri di guerriglieri feriti presso il suo ospedale.

Agli inizi del 2011, gli operativi della Cia incaricati di scovare Osama, una squadra di uomini di origine pakistana che potevano mimetizzarsi bene tra quelle popolazioni, intercettò nella zona di Abbottabad uno dei più stretti collaboratori del leader di Bin Laden; l’uomo venne seguito fino ad una grande casa con alte mura di cinta, situata nella periferia della cittadina, a pochi chilometri dall’Accademia militare pakistana. Fotografie scattate dagli agenti americani sugli abitanti di quella casa mostrarono un individuo con una fortissima somiglianza con il super-ricercato; per avere conferma che si trattasse proprio di lui e dare il via all’operazione delle forze speciali occorreva però la prova delle prove, l’accertamento del Dna.

A Langley, sembra su suggerimento del dottor Afridi, venne così deciso di organizzare una falsa campagna di campionatura e vaccinazione contro l’Epatite C per un sospetto rischio di epidemia, che sarebbe stata condotta sugli abitanti di Abbottabad. Il dottore pakistano, assistito da uomini della Cia camuffati da infermieri e agenti della polizia locale, per alcuni giorni prelevò campioni di saliva e sangue ai residenti delle case vicine al compound dove si pensava potesse nascondersi Bin Laden. Quando suonarono anche al portone del rifugio del capo di Al Qaeda, i figli, la moglie e alcuni altri occupanti si sottoposero alle analisi, permettendo così ad Afridi di raccogliere provette fondamentali per l’esame del Dna. I test vennero compiuti in un laboratorio che era stato allestito presso l’appartamento che fungeva da base di appoggio per la Cia e che distava poche centinaia di metri dalla casa di Osama Bin Laden. Afridi e i medici militari americani che erano arrivati ad Abbottabad in tutta segretezza nelle ore precedenti confermarono che uno dei Dna (uno dei ragazzi analizzati nella casa di Osama) corrispondeva a quello del super- terrorista. Si trattava infatti di suo figlio minore; Osama Bin Laden era dunque in quella casa e così l’operazione per la sua cattura cominciò subito.

Nelle prime ore del mattino di lunedì 2 maggio, due elicotteri dei Marines sbarcarono una squadra di Navy Seals nel cortile della casa di Abbottabad. Uno degli elicotteri ebbe un’avaria in atterraggio e si schiantò al suolo. Gli incursori della marina statunitense entrarono nella casa e al secondo piano venne ucciso Osama Bin Laden. Nelle concitate ore successive, gli agenti della Cia che avevano preparato per settimane l’azione riuscirono a scappare precipitosamente prima dell’arrivo dei poliziotti pakistani. Il dottor Afridi venne invece identificato e arrestato tre giorni dopo dagli uomini dell’Isi al passaggio di frontiera di Torkham, mentre cercava di passare il confine con l’Afghanistan. Gli investigatori pakistani si accanirono sul povero dottore, scaricando sull’unico arrestato la frustrazione di essere stati umiliati da agenti stranieri nel cuore stesso del Pakistan.

Incriminato dapprima per tradimento, per aver tramato con uno Stato straniero contro la sicurezza nazionale, i giudici di Islamabad cambiarono poi il capo di imputazione, forse per evitare le proteste americane, e il dottor Afridi venne condannato nel maggio del 2012 a 33 anni di prigione, poi ridotti a 23, per collegamento con movimenti estremisti. Vani sono stati fino ad ora gli appelli in Pakistan e negli Stati Uniti per un atto di clemenza nei confronti del dottor Afridi. Il medico pakistano, considerato uno degli eroi della cattura di Bin Laden, sembra dunque diventato un capro espiatorio e paga anche le conseguenze negative dei non idilliaci rapporti intercorsi tra Washington e Islamabad, dopo l’azione di Abbottabad.

Nel 2012 una commissione del Senato degli Stati Uniti ha votato una simbolica riduzione di 33 milioni di dollari di aiuti militari americani a Islamabad, un milione per ogni anno di detenzione imposto al medico agente della Cia. Di recente sembra essersi però attenuata l’azione americana a favore di una liberazione della ex fonte della Cia. Il clamore che provocherebbe la sua liberazione a Islamabad e l’opposizione di una buona parte dell’opinione pubblica in Pakistan e nel vicino Afghanistan avrebbero indotto la Casa Bianca a frenare l’iniziativa. Forse il dottor Afridi, per quello che ha avuto il coraggio di fare, meriterebbe sorte diversa.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:00