Unione, Israele e il futuro per la pace

sabato 28 maggio 2016


Cultura, politica, diplomazia e difesa, sono numerose le tematiche che lo stato di Israele tenta di affrontare nei suoi rapporti internazionali. Ne parliamo con l’Ambasciatore Dan Haezrachy, vice capo missione diplomatica dell’Ambasciata di Israele a Roma.

Lo scorso 12 febbraio, il primo ministro israeliano Natanyahu ha avuto un colloquio con l’Alto rappresentante dell’Unione europea per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Federica Mogherini. I due hanno discusso delle sfide comuni che Israele e l’Unione stanno affrontando nella lotta al terrorismo. Che rapporti si prevedono per il futuro con l’Ue?

Israele vede nell’Unione europea un partner importante. Questo per diversi motivi, che spaziano dalla comunanza dei valori, alla storia comune e alla prossimità geografica. Quest’ultimo, in particolare, è indubbiamente un fattore che rende alcune problematiche attuali, delle sfide comuni da affrontare insieme. La lotta al terrorismo e il contrasto al traffico di esseri umani, ad esempio, sono sicuramente due questioni centrali, in cui l’Unione europea può avere in Israele un partner prezioso. Perché questa cooperazione dia veramente i suoi frutti, però, è necessario che l’Unione sappia condannare fortemente non solo il terrorismo che colpisce Parigi e Bruxelles, ma anche il terrorismo palestinese che, costantemente, colpisce i civili israeliani. L’odio alla base di questo terrorismo è lo stesso e non deve esistere un doppio parametro di giudizio. Per quanto concerne l’Italia, la cooperazione su queste tematiche è già in atto. Le basti sapere che solamente qualche giorno fa il Sottosegretario agli Interni, Domenico Manzione, ha visitato Israele proprio per uno scambio di opinioni e una collaborazione nel settore della lotta al terrorismo e nel contrasto al traffico di esseri umani.

Nel mese di gennaio il presidente dello Stato d’Israele Reuven Rivlin è intervenuto alla conferenza con gli ambasciatori, i consoli generali e i capi missione israeliani di tutto il mondo tenutasi al ministero degli Affari esteri israeliano a Gerusalemme. Presente anche S.E. Naor Gilon, ambasciatore di Israele in Italia. Il servizio diplomatico estero israeliano nel suo insieme costituisce l’elemento centrale ed essenziale per la salvaguardia della democrazia nel Paese e fuori da esso. Che futuro immagina per la diplomazia di Israele e per quella internazionale?

La diplomazia oggi ha due volti: da un lato il volto classico, quello che la storia ci ha tramandato, con le sue necessarie eleganti formalità. Al fianco di questa “diplomazia 1.0”, però, si sta affermando la cosiddetta “diplomazia 2.0”, ovvero la capacità dei diplomatici di usare le nuove forme di comunicazione che la Rete offre – prima di tutto i social network – per comunicare con l’esterno. In tal senso, Israele è sicuramente all’avanguardia e i diplomatici israeliani, a cominciare dal ministero degli Esteri a Gerusalemme (ove esiste uno specifico dipartimento di Public Diplomacy), cercano sempre di lanciare un messaggio che sia capace non solo di rappresentare Israele al meglio, ma anche di raggiungere un pubblico sempre più vasto. Per noi si tratta di una sfida importante anche per vincere quei pregiudizi antisemiti e antisionisti che, purtroppo, ancora esistono e che, proprio nei social network, trovano spesso un terreno fertile. Proprio il 26 maggio scorso è stato consegnato il Premio Exodus al Presidente emerito della Repubblica, Giorgio Napolitano. Anche in quell’occasione, Napolitano ha denunciato l’antisemitismo che si maschera da antisionismo e la necessità di mantenere sempre la “massima limpidezza di posizioni” sulle ragioni di Israele ad esistere in sicurezza.

Sempre in tale evento il presidente Rivlin ha dichiarato: “Oggi Israele è un Paese forte. Le Forze di Difesa Israeliane e i servizi di sicurezza sono esperti nel settore operativo e capiscono bene le crescenti sfide derivanti da un panorama internazionale, che diventa sempre più complicato”. Quali sono le maggiori preoccupazioni diplomatiche e internazionali dello Stato di Israele oggi?

Come ha detto il presidente Rivlin, Israele è oggi un Paese forte, stabile, dinamico e sviluppato in ogni settore. Ovviamente, considerando soprattutto l’ambiente in cui Israele si trova, le sfide alla sicurezza del Paese sono tante. Penso all’Iran, un regime fondamentalista che non solo nega l’Olocausto, ma predica la cancellazione di Israele dalle mappe. Penso al dramma siriano, ove diversi gruppi terroristi – sia sunniti che sciiti – si sono inseriti come un tumore. Penso al terrorismo islamista portato avanti anche da diverse organizzazioni terroriste palestinesi, verso il quale la Comunità internazionale sembra spesso chiudere gli occhi. Penso quindi al movimento di boicottaggio di Israele, dietro il quale si mascherano pericolosamente le nuove forme di antisemitismo. Nonostante tutto, sono fermamente convinto che Israele, grazie ai valori stessi dell’ebraismo, possieda i giusti anticorpi per vincere queste sfide e divenire sempre più forte, più stabile e più democratico.

Nelle scorse settimane numerose Organizzazioni non Governative italiane hanno sostenuto una campagna in cui veniva denunciata la sistematica violazione dei diritti umani in Iran. La Ong “Nessuno tocchi Caino” ha soffermato la propria attenzione anche sulla negazione della shoah da parte delle istituzioni iraniane. Lei ha seguito tali iniziative e cosa prevede per il futuro dei diritti umani in Iran?

Il regime iraniano ha fatto dell’antisemitismo un leitmotiv, utile alla sua leadership clericale per mantenere il potere creando un fittizio nemico esterno. Così facendo, Teheran non ha inventano nulla, inserendosi pienamente nella classica linea del terrore che ha caratterizzato tutte le peggiori dittature contemporanee. La campagna di “Nessuno tocchi Caino” di denuncia del negazionismo iraniano – promosso direttamente dalla Guida Suprema Ali Khamenei – è particolarmente importante per due motivi. In primis perché rappresenta un’autorevole voce occidentale, davanti a troppi silenzi della Comunità internazionale. Silenzi legati a ragioni geopolitiche, che non possono assolutamente giustificare la ripresa di un dialogo con Teheran senza delle chiare precondizioni, anche legate ai valori fondamentali. Secondariamente, perché la denuncia di “Nessuno tocchi Caino” si inserisce nella più importante battaglia per la transizione verso lo Stato di Diritto, di cui la lotta all’antisemitismo è parte integrante.

Pochi giorni fa ci ha lasciato il leader dei radicali Marco Pannella, da sempre amico di Israele. Nelle scorse settimane alcuni giornali hanno ripreso la notizia di una visita dell’ambasciatore Naor Gilon al leader radicale, allora, gravemente malato. Che ricordo ha di Marco Pannella e cosa ha lasciato al mondo israeliano?

Pochi minuti dopo aver appreso della scomparsa di Marco Pannella, ho personalmente mandato un messaggio ai vertici di “Nessuno tocchi Caino”, per esprimere il mio sincero e profondo cordoglio. Pannella, come ho scritto nel messaggio, è stato un “haver amiti” – un vero amico – di Israele e di tutto il popolo ebraico. Quando abbiamo saputo dell’aggravamento delle condizioni di salute di Marco, con l’ambasciatore Naor Gilon abbiamo deciso di recarci fisicamente a fargli visita, per poterlo abbracciar e ringraziare a voce. Per quanto riguarda Israele, quindi, non vogliamo solamente ricordare i gesti di solidarietà fatti da Pannella nei momenti difficili della nostra storia – come l’organizzazione di un congresso Radicale a Gerusalemme in piena Prima Intifada – o la più nota campagna per l’ingresso di Israele nell’Unione europea. Vogliamo soprattutto ricordare come, proprio in questi ultimi anni, Pannella abbia rappresentato una delle poche voci fuori dal coro per quanto concerne i nuovi rapporti tra l’Occidente con l’Iran. Per Marco era chiaro che questi nuovi rapporti dovessero essere basati primariamente sul riconoscimento di Israele e sulla fine dell’antisemitismo dei Mullah. Per tutte queste ragioni, Israele resterà sempre riconoscente a Pannella e le nostre porte resteranno sempre aperte agli amici del mondo Radicale.

Che futuro prevede per Israele, per la democrazia e il pluralismo di tale Stato in un contesto geografico e politico dominato dal dispotismo e dall’orrore dello stato islamico?

Proprio Pannella diceva sempre che i Paesi intorno ad Israele, non temono Israele per il suo esercito, ma soprattutto per i suoi valori. Nonostante gli orrori, quindi, sono positivo sul futuro del mio Paese. Credo fortemente che sapremo trovare la via per migliorare la nostra democrazia e renderla sempre più pluralista e inclusiva. Allo stesso tempo, spero che i nostri vicini arabi – in primis i palestinesi – sappiano a loro volta comprendere che la crisi nell’Islam, rappresenta anche un’occasione per avviare con Israele un nuovo rapporto, fondato su relazioni pacifiche e di cooperazione. Se sapranno far questo, credo non solo che il Medioriente riuscirà a sconfiggere i suoi tumori, ma anche a creare un futuro di positivo sviluppo, non solo politico, ma anche economico. Questa cooperazione, tra le altre cose, potrebbe portare a risultati importanti anche nella lotta – mondiale – ai cambiamenti climatici. Proprio in questi giorni sono stato ad una interessante conferenza sul tema organizzata, tra gli altri, dalle università Roma Tre e Federico II e dall’organizzazione Beautiful Israel. Qui, si è parlato esplicitamente di unire le forze per vincere questa sfida importante. Come ho detto in quell’occasione, noi riteniamo che tutti gli attori della Regione mediorientale, debbano lavorare insieme sulle tematiche ambientali e crediamo che questo sforzo comune possa servire da strumento essenziale per la riconciliazione e la pace.


di Domenico Letizia