La Francia non vuole diventare come l’Italia

Non hanno avuto bisogno di ricorrere all’inglese per varare una riforma sbagliata: il governo di Parigi ha chiamato “Loi travail” (Legge lavoro) la versione transalpina del Jobs Act renziano. Ma il presidente François Hollande ed il premier Manuel Valls non avevano messo in conto che il popolo francese è molto più reattivo di quello italiano. E se nel Bel paese renziano è sufficiente lanciare un nuovo modello di telefonino cellulare per spostare l’attenzione dei giovani e dei media, i transalpini hanno preferito scendere in piazza e protestare.

Il governo di Parigi ha ribattuto che la legge non si cambia e ha mandato le forze dell’ordine a sgomberare i blocchi dei manifestanti “perché – ha avvertito Valls – è inaccettabile obbligare i francesi a 45 minuti di coda per fare il rifornimento di benzina”. Mentre i sostenitori del governo, intervistati dai giornali italiani di rito renziano, spiegavano che non c’è nulla di male in una legge che prevede meno salario e più orario: “Se ce lo chiede l’Europa – assicuravano i filogovernativi – vuol dire che è giusto così; e poi il cambiamento è passato anche in Italia, la Francia non può rimanere indietro”.

In effetti è proprio l’Italia il termine di paragone più utilizzato in Francia per sostenere o disapprovare la loi travail. Al di là dei fotomontaggi pubblicati sui social – con falsi striscioni in cui i manifestanti affermavano di non voler finire come l’Italia – la protesta dei lavoratori è basata sul timore di ritrovarsi in una situazione come quella della Penisola. La flessibilità, invocata dal governo e dalle associazioni datoriali, è respinta non solo dai manifestanti ma anche dalla grande maggioranza dei francesi, secondo quanto emerso dai sondaggi.

Flessibilità come anticamera della schiavitù, per chi protesta. Flessibilità come unica chance di competitività a livello globale, per chi appoggia la riforma. Sicuramente il modello italiano non rappresenta un esempio di successo. La flessibilità della Penisola non ha ridotto, se non in misura marginale, i livelli altissimi della disoccupazione e ha lasciato il Bel paese al fondo delle classifiche per gli incrementi della produttività, oltre a quelli per i livelli salariali. Una realtà che spaventa i francesi. Ma a tutto ciò si aggiunge una realtà politica ben diversa. In Francia è il Front National di Marine Le Pen a dominare la scena. E non è importante se, al momento, sia il primo o secondo schieramento politico transalpino. Dunque l’opposizione al governo può rafforzarsi con la protesta dei lavoratori. Soprattutto se si considera che, ormai da tempo, il voto operaio e del ceto medio più penalizzato si è spostato verso il Front National. Ma la maggioranza di governo è sempre più minoranza nel Paese, perché il ritorno in campo di Nicolas Sarkozy ha creato una situazione di fatto nella quale il Partito socialista governa ma totalmente privo di consensi tra i francesi. Per superare l’impasse, Hollande (come Sarkozy, d’altronde) ha sempre cercato la strada della politica estera. Non c’è più Gheddafi da abbattere, ma il petrolio libico continua a rappresentare un obiettivo strategico per Parigi che ha mandato i propri uomini, e le proprie armi, per sostenere il generale Haftar, ras della Cirenaica, contro Fayez Serraj, il premier imposto dall’Onu.

Nel frattempo Hollande sta cercando di rilanciare l’asse europeo con Berlino, tagliando fuori le speranze di protagonismo del premier italiano. Mentre, sul fronte opposto, Marine Le Pen ed il suo schieramento Blu Marine cercano sponde tra le opposizioni degli altri Paesi europei, a partire dall’Italia ma guardando, sempre di più, all’Austria dove la vittoria del Fpö alle recenti presidenziali è stata impedita in modo non proprio limpido. Ma in Austria, come anche in Francia, il Paese reale riesce a far fronte comune anche in mancanza di una presenza istituzionale. Una notevole differenza rispetto all’Italia e questo potrebbe favorire una sorta di emarginazione della Penisola dagli scenari internazionali: non solo quelli istituzionali tra Parigi e Berlino, ma anche quelli del fronte delle opposizioni, tra Parigi, Vienna e Budapest.

 

(*) Think tank “Il Nodo di Gordio”

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:05