Schiavi ai giorni nostri

Quasi 46 milioni di esseri umani nel mondo vivono in condizioni di schiavitù, secondo l’Indice globale della schiavitù 2016 pubblicato nei giorni scorsi dalla Ong australiana “Walk Free Foundation”.

I ricercatori australiani, che hanno analizzato i dati pubblici e ogni informazione disponibile sulle condizioni di vita e di lavoro in 167 Paesi del pianeta, hanno stimato che nell’arco di un anno, dal 2014 al 2015, le persone costrette a varie forme di schiavitù sono aumentate di circa 10 milioni. Numeri da brivido.

Secondo la convenzione supplementare sull’abolizione della schiavitù, del commercio di schiavi e sulle istituzioni e pratiche assimilabili alla schiavitù, approvata dalle Nazioni Unite nel 1956, la libertà è un diritto che ogni essere umano acquista alla nascita. I testi onusiani definiscono anche le forme di schiavitù che vanno dal lavoro forzato al lavoro sottopagato e in condizioni disumane, alla servitù per debiti, allo sfruttamento e alla tratta sessuale, ai matrimoni obbligati, specie per minorenni, alla cessione di esseri umani; a leggere il lungo elenco indicato dai testi internazionali si ritrovano troppo spesso sui media di tutto il mondo terribili e drammatiche storie di schiavismo, triste segno che la civiltà umana, malgrado il progresso, conserva ancora zone oscure che non riesce a scrollarsi di dosso.

Il rapporto della Walk Free Foundation ha trovato una qualche forma di schiavitù in ognuna delle 167 nazioni esaminate. L’India risulta di gran lunga il Paese con il maggior numero di schiavi, con una stima di oltre 18 milioni di esseri umani, su una popolazione di 1,3 miliardi di abitanti. Le condizioni di grave disagio economico e culturale favoriscono lo sfruttamento specialmente nel lavoro domestico, nell’edilizia, nell’agricoltura, nel lavoro manuale e nell’industria del sesso. Va dato atto comunque che le autorità indiane stanno cercando di arginare il fenomeno, seppur tra mille difficoltà data la vastità del Paese e della popolazione locale.

Altro “campione di libertà” è il regime dittatoriale della Corea del Nord che con 1,1 milioni di persone costrette a forme di schiavitù, in particolare al lavoro forzato, spicca come peggiore in termini di concentrazione, con uno schiavo ogni 20 persone, pari al 4,4 per cento della sua popolazione di 25 milioni. Solo le vittime del lavoro forzato sono, secondo l’Ilo, l’Agenzia delle Nazioni Unite per il Lavoro, oltre 21 milioni di persone nel mondo. I due terzi delle persone in stato di schiavitù provengono da alcuni Paesi in via di sviluppo del subcontinente asiatico che continuano a fornire, malgrado i divieti e le leggi approvate in molti Paesi occidentali, manodopera poco qualificata e pagata pochissimo o quasi nulla, in catene di approvvigionamento globali che producono abbigliamento, specialmente sportivo, cibo e tecnologia.

Circa il 58 per cento delle persone che vivono in stato di schiavitù sono localizzate in cinque Paesi - India, Cina, Pakistan, Bangladesh e Uzbekistan. Tuttavia i Paesi con la più alta percentuale di popolazione asservita sono la citata Corea del Nord, l’Uzbekistan, la Cambogia, l’India e il Qatar. Tra la pagella dei peggiori governi che fanno pochissimo per contrastare la schiavitù sono risultati la Corea del Nord, l’Iran, l’Eritrea e la Guinea Equatoriale, mentre tra quelli virtuosi, i governi cioè che esercitano stretti controlli e hanno approvato leggi molto ferree per contrastare il fenomeno, ci sono i Paesi Bassi, gli Stati Uniti, la Gran Bretagna, la Svezia e l’Australia.

L’Europa ha la più bassa diffusione regionale della schiavitù, ma è comunque destinazione per il lavoro forzato e lo sfruttamento sessuale. L’Italia è il secondo Paese europeo, dopo la Polonia, per numero effettivo di schiavi moderni, oltre 120mila: il fenomeno riguarda specialmente il meridione dove lavorano in condizioni di grave disagio lavoratori agricoli emigrati e le grandi città, dove molte ragazze straniere sono costrette alla prostituzione da gang criminali. Cifre che vorremmo vedere drasticamente ridotte o annullate nei rapporti futuri.

La disperazione dei nuovi migranti e rifugiati in fuga da conflitti e dalla povertà che affluiscono massicciamente verso l’Europa potrebbe determinare nuove forme di schiavismo che occorre monitorare e prevenire.

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 16:51