La soluzione saudita

mercoledì 15 giugno 2016


Mentre i governi europei chiudono le porte ai migranti mediorientali irregolari, dove possono andare i siriani e gli altri, non lontano dai loro Paesi di origine, per trovare sicurezza e lavoro? La risposta è ovvia ma incredibilmente trascurata: in Arabia Saudita e nelle altre ricche monarchie del Golfo Persico.

Il milione e oltre di migranti che lo scorso anno hanno solcato il mare, viaggiato in treno, in autobus e a piedi alla volta del Nord Europa, hanno sopraffatto le capacità e la buona volontà del continente. I problemi con questi flussi migratori massicci sono stati esacerbati dalla criminalità, dalle malattie, dalla riluttanza a integrarsi, dai tentativi di imporre la legge islamica e da violenze come i taharrush (assalti sessuali di massa) di Colonia e gli attacchi a Parigi e Bruxelles.

In risposta, i partiti populisti e fascisti (come il Front National in Francia e Jobbik in Ungheria) sono diventati più forti. L’atteggiamento degli europei è cambiato così profondamente – come mostrato dai risultati elettorali in Germania – che è stato ridotto notevolmente il numero degli illegali che cercano di entrare in Europa, non importa quali nuove rotte cerchino di percorrere, come ad esempio attraverso l’Italia.

Di conseguenza, c’è un numero enorme di migranti in attesa di entrare in Europa. Secondo Johannes Hahn, commissario dell’Unione europea, “alle porte dell’Europa ci sono 20 milioni di rifugiati. (...) Dieci-dodici milioni provenienti dalla Siria, 5 milioni di palestinesi, 2 milioni di ucraini e circa un milione del Caucaso meridionale”. Sì, ma questo è solo l’inizio. Io aggiungo anche un gran numero di libici, egiziani, yemeniti, iracheni, iraniani, afgani e pakistani – e non solo rifugiati politici ma anche migranti economici. Complessivamente, il numero dei musulmani pronti a emigrare potrebbe potenzialmente corrispondere ai 510 milioni di abitanti dell’Ue.

E allora dove dovrebbero andare? Esiste un’alternativa vicina e auspicabile per l’Europa. Anzi, è una meta così attraente che gli stranieri già costituiscono la metà della popolazione: stiamo parlando dei sei Stati del Consiglio di cooperazione del Golfo – Bahrein, Kuwait, Oman, Qatar, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti. Concentriamo l’attenzione sul Regno dell’Arabia Saudita, il più grande dei sei in termini di estensione, popolazione ed economia. Il Regno saudita offre molti vantaggi esclusivi ai musulmani sunniti. Per cominciare, ha 100mila tende vuote in fibra di vetro che possono ospitare circa 3 milioni di persone a Mina (nella foto), appena a est della Mecca. Costruite a prova di incendio e dotate di aria condizionata, complete di servizi igienici e cucine, queste tende costituiscono una risorsa singolare che è utilizzata solo cinque giorni l’anno dai pellegrini che compiono l’hajj.

Se si confronta il Regno dell’Arabia Saudita con i Paesi del Nord Europa, il primo mostra molti altri vantaggi:

Culturalmente, molti sunniti ritengono che le gravi censure saudite siano più congeniali del laicismo dell’Occidente. Nel Regno saudita, i musulmani possono esultare in una società che permette la poligamia, i matrimoni precoci, le violenze domestiche, le mutilazioni genitali femminili e le decapitazioni, limitandosi a infliggere pene di lieve entità per reati come la riduzione in schiavitù e i delitti d’onore.

Il Regno arabo saudita permette anche ai musulmani di evitare, senza fare alcuno sforzo, le cose considerate haram (proibite), come i cani; la carne di maiale e gli alcolici; il pagamento di interessi sui prestiti; le lotterie sponsorizzate dallo Stato e le sale da gioco d’azzardo; il giorno di San Valentino, le donne vestite in modo immodesto, gli appuntamenti galanti e i nightclub; i bar frequentati dagli omosessuali e i matrimoni gay; la sottocultura della droga e l’espressione pubblica di opinioni anti-islamiche.

I Paesi del Golfo Persico sono stati criticati per non aver accolto “un solo” profugo siriano. Eppure, le autorità saudite sostengono di aver accolto due milioni e mezzo di siriani. Come spiegare questa discrepanza? In parte, i sauditi mentono. Ma è anche vero che gli Stati del Consiglio di cooperazione del Golfo e altri Paesi arabofoni come l’Iraq, la Giordania, il Libano e la Siria non hanno mai firmato la Convenzione sui rifugiati del 1951 (perché non accettano l’obiettivo della convenzione che prevede il reinsediamento dei palestinesi). Di conseguenza, evitano di usare il termine rifugiato, con le sue implicazioni di permanenza, e parlano piuttosto di ospiti, che risiedono solo temporaneamente fino a quando non faranno ritorno in patria.

Quanti siriani sono stati accolti nel Regno saudita? Secondo uno studio condotto da Lori Plotkin Boghardt del Washington Institute for Near Eastern Policy, sono “poche centinaia di migliaia”, ossia 150mila. Si tratta di una piccola frazione degli oltre quattro milioni presenti in Turchia, Libano, e Giordania – e solamente il 5 per cento dei migranti che potrebbero essere ospitati solo nelle splendide tende di Mina. 

Il fatto che i ricchi Paesi arabi siano così restii ad accogliere i musulmani sunniti in difficoltà denota un atteggiamento egoista e ipocrita. La loro mancanza di disponibilità non dovrebbe essere premiata. È tempo che i governi e le organizzazioni che si occupano di rifugiati la smettano di concentrare l’attenzione sull’Europa e la rivolgano a quei Paesi arabi capaci, con relativa facilità, di accogliere e dare lavoro ai loro fratelli disperati.

 

(*) Traduzione a cura di Angelita La Spada


di Daniel Pipes