Quanto della nostra cultura cediamo all’Islam?

Tutto è accaduto nella stessa settimana. Un giudice tedesco ha proibito a un comico, Jan Böhmermann, di continuare a recitare i versi “osceni” del suo famoso poema sul presidente turco Recep Tayyip Erdogan. Un teatro danese pare abbia cancellato dal cartellone l’opera “I versi satanici” per timore di rappresaglie. Due festival musicali francesi hanno annullato l’esibizione degli Eagles of Death Metal – la band americana che si stava esibendo al teatro Bataclan di Parigi, quando fu sferrato l’attacco da parte dei terroristi dell’Isis (uccidendo 89 persone) – a causa dei commenti “islamofobi” di Jesse Hughes, leader del gruppo musicale. Hughes ha proposto che i musulmani vengano sottoposti a un maggiore controllo, dicendo: “Di questi tempi è normale essere accorti quando si tratta di musulmani “, per poi aggiungere: “Sanno che ci sono ragazzi bianchi là fuori che sono stupidi e ciechi. Questi ragazzi bianchi benestanti che sono cresciuti in un programma di studi liberal fin dalla scuola materna, bombardati di queste nozioni arroganti che sono soltanto aria fritta”.

Come ha scritto Brendan O’Neill: “I liberal-occidentali fanno il lavoro sporco per loro; mettono a tacere la gente che l’Isis considera blasfema; essi completano le azioni terroristiche dell’Isis”.

Qualche settimana prima, Gallimard, la più importante casa editrice francese, ha licenziato il suo più famoso editor, Richard Millet, autore di un saggio nel quale ha scritto: “Il declino della letteratura e i profondi cambiamenti sono stati provocati in Francia e in Europa da un’immigrazione extraeuropea massiccia e continua, con i suoi elementi intimidatori del salafismo militante e del politicamente corretto in seno al capitalismo globale, ossia il rischio di una distruzione dell’Europa e della sua cultura umanista o cristiana, in nome dell’umanitarismo nella sua versione multiculturale”.

Kenneth Baker ha appena pubblicato un nuovo libro dal titolo “On the Burning of Books: How Flames Fail to Destroy the Written Word”, in cui passa in rassegna il cosiddetto “bibliocausto”, il rogo dei libri ordinato dal califfo Omar a Hitler, passando per la fatwa emessa contro Salman Rushdie. Quando bruciarono i libri a Berlino, i nazisti dissero che dalle ceneri di quei romanzi sarebbe “sorta la fenice di un nuovo spirito”. Lo stesso odio che infiammava i nazisti proviene dagli islamisti e dai loro alleati politicamente corretti. E noi non abbiamo neppure una vaga idea di quanto della nostra cultura occidentale abbiamo ceduto all’Islam.

Il film di Theo Van Gogh “Submission”, a causa del quale è stato assassinato, è scomparso da molti festival del cinema. Le vignette su Maometto pubblicate da Charlie Hebdo sono state celate alla sfera pubblica: dopo la strage, pochi media le hanno ripubblicate. I post del blog di Raif Badawi, che sono costati al giovane 1.000 frustrate e dieci anni di carcere in Arabia Saudita, sono stati cancellati dalle autorità saudite e ora circolano clandestinamente come la letteratura samizdat, all’indice in Unione Sovietica.

Molly Norris, la vignettista americana che nel 2010 disegnò Maometto e proclamò l’“Everybody Draw Muhammad Day” (il giorno in cui tutti disegnano Maometto) è ancora costretta a nascondersi e ha dovuto cambiare nome e vita. Il Metropolitan Museum of Art di New York ha rimosso da una mostra le immagini riconducibili a Maometto, mentre la Yale Press ha pubblicato un libro sulle vignette del Profeta senza però riprodurle. Anche “The Jewel of Medina”, un romanzo sulla moglie di Maometto, è stato censurato.

A Rotterdam, in Olanda, è stata cancellata un’opera su Aisha, una della mogli di Maometto, dopo che lo spettacolo era stato boicottato dagli attori musulmani della compagnia teatrale quando fu evidente che sarebbero stati un bersaglio per gli islamisti. E riguardo a questo episodio il quotidiano Nrc Handelsblad titolò un pezzo “Teheran sulla Mosa”, il fiume che attraversa la città olandese.

In Inghilterra, il Victoria and Albert Museum ha ritirato un ritratto di Maometto. “Musei e biblioteche britanniche custodiscono decine di queste immagini, per lo più miniature di antichi manoscritti che rimangono fuori della portata del pubblico”, ha spiegato il Guardian. In Germania, la Deutsche Opera ha cancellato a Berlino l’Idomeneo di Mozart, perché c’era la testa mozzata di Maometto.

“Tamerlano il Grande” di Christopher Marlowe, che contiene un riferimento in cui Maometto è descritto come “non degno di essere venerato”, è stato riadattato nello spettacolo al teatro Barbican di Londra, mentre al Carnevale di Colonia è stato vietato un carro che rendeva omaggio alle vittime di Charlie Hebdo.

Nella città olandese di Huizen, due nudi di donna sono stati rimossi da una mostra dopo le critiche mosse dai musulmani. La mostra di un’artista iraniana, Sooreh Hera, è stata cancellata da vari musei olandesi perché alcune delle sue opere fotografiche ritraevano Maometto e suo genero, Ali. Rebus sic stantibus, la National Gallery di Londra, gli Uffizi di Firenze, il Louvre di Parigi o il Prado di Madrid potrebbero decidere di censurare Michelangelo, Raffaello, Bosch e Balthus perché offendono la “sensibilità” dei musulmani.

Il drammaturgo inglese Richard Bean è stato costretto a censurare e riadattare la commedia di Aristofane Lisistrata, in cui le donne della Grecia fanno “sciopero del sesso” per fermare i loro uomini che volevano andare in guerra (nella versione di Bean, le vergini islamiche scioperano per fermare gli attentatori suicidi del jihad). Diversi paesini spagnoli hanno smesso di bruciare le effigie di Maometto nella cerimonia commemorativa che celebra la riconquista del paese nel Medioevo.

Esiste un video girato nei giorni del 2006 in cui le minacce di morte contro Charlie Hebdo si fecero preoccupanti. Si vedono i giornalisti e i vignettisti riuniti attorno a un tavolo mentre decidono la copertina del numero successivo della rivista. Parlano di Islam. Nel video si sente Jean Cabu, uno dei vignettisti uccisi in seguito dagli islamisti, porre la questione in questi termini: “Nessuno in Unione Sovietica aveva il diritto di fare satira su Brežnev”.

Poi un’altra futura vittima di quella strage, George Wolinski, dice: “Cuba è piena di vignettisti, ma nessuno fa caricature di Castro. Quindi siamo fortunati. Sì, siamo fortunati, la Francia è un paradiso”.

Cabu e Wolinski avevano ragione. Le democrazie sono, o almeno dovrebbero esserlo, depositarie di un tesoro delicato e deperibile: la libertà di espressione. È questa la grande differenza fra Parigi e Cuba, Londra e Amman, Berlino e Teheran, Roma e Beirut. La libertà di espressione è la cosa migliore che ci offre la cultura occidentale. Grazie alla campagna degli islamisti e al fatto che ora solo alcuni “pazzi” continuano ad avventurarsi nell’esercizio della libertà di espressione, non possiamo che essere terrorizzati? I vignettisti, i giornalisti e gli scrittori “islamofobi” sono i primi europei dal 1945 a doversi ritirare dalla vita pubblica per proteggere la propria incolumità. Per la prima volta in Europa da quando Hitler ordinò di incenerire i libri nella Bebelplatz di Berlino, film, quadri, poesie, romanzi, vignette, articoli e opere teatrali sono letteralmente e fisicamente messi al rogo.

Il giovane matematico francese Jean Cavaillès, per spiegare il suo fatale coinvolgimento nella Resistenza antinazista, era solito dire: “Lottiamo per leggere Paris Soir e non il Volkischer Beobacher”. Forse avrebbe detto lo stesso su Charlie Hebdo. Per questo non è nostro diritto disquisire sulla bellezza dei quadri che si realizzano, sulle poesie che si scrivono, sulle vignette che si disegnano. In Occidente abbiamo pagato a caro prezzo la libertà di farlo. Pertanto, dovremmo tutti protestare quando un giudice tedesco vieta i versi “offensivi” di un poema, quando una casa editrice francese licenzia un editor “islamofobo” o quando un festival musicale cancella l’esibizione di un gruppo politicamente scorretto. O è già troppo tardi?

(*) Gatestone Institute

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:59