Incapacità di capire il salafismo saudita

Ottantaquattro morti e più di cinquanta feriti, tutti travolti dall’ideologia omicida di un jihadista franco-tunisino alla guida di un camion che, ancora adesso, si stenta a capire come sia arrivato sino sul lungomare di Nizza.

Il presidente Hollande, scoraggiato e afflitto dal dolore, quasi più incapace di reagire, che annuncia a ripetizione che la “Francia è in guerra”. La stessa frase che aveva proferito con maggiore veemenza, dopo i fatti del Bataclan del 13 novembre scorso. Eppure, anche allora, con la differenza che si trattò di una serie di attacchi armati, il terrore di matrice islamica si realizzò attraverso l’impiego di un commando collegato all’autoproclamato Stato islamico.

I siti web aggregati all’Isil esultano per la strage di ieri notte. Ma ancora più scioccante, per noi occidentali, è la quasi “indifferenza” con cui i sistemi di comunicazione di massa dei paesi arabi hanno riportato la tragedia che ha funestato il 14 luglio di Nizza, della Francia e dell’Europa intera.

Ed è proprio attraverso la differente sensibilità con cui la notizia è stata diffusa, da una parte nei paesi occidentali e dall’altra in quelli di cultura araba, che si dovrebbe finalmente percepire il divario che esiste tra queste due culture: l’Islam da una parte e l’occidente dall’altro. In Tunisia, per esempio, terra di origine del jihadista di Nizza, non si può prescindere dal fatto che in questa stessa terra convivono due realtà sociali. Tra modernisti e islamisti tunisini, il divario è ancora oggi enorme. E se si considera che nell’ambito degli islamisti (cioè coloro che vorrebbero una maggiore osservanza dei precetti coranici in ambito sociale) esiste una forte percentuale di credo Salafita, ecco che si spiega anche il perché la condanna a episodi di terrore jihadista non può essere data con la stessa enfasi dell’Occidente. E se questa è la Tunisia, si può ben immaginare il crescendo di partecipazione attiva alle azioni jihadiste che esiste nei vari paesi islamici, dal Sudan (in cui nei giorni scorsi è riesplosa la guerra civile tra fronte islamico del nord contro cristiani del sud!), alla Libia, gli Emirati, l’Arabia Saudita etc. etc., per finire con lo Stato Islamico! Che cosa differenzia la partecipazione ideologica della popolazioni di queste nazioni alle azioni jihadiste sta solo nella percentuale di credenti salafiti che esiste al loro interno.

Se in Tunisia possiamo parlare di un buon 10% di credo salafita, la percentuale sale enormemente man mano che ci spostiamo verso il wahabismo saudita, per raggiungere la “totalità” imposta nei territori sotto il controllo dello Stato Islamico. E che cosa dire dell’Islam Europeo? Qui è il fulcro attorno al quale il problema gira: la convinzione che la legge islamica ha tutto il diritto di essere messa in pratica anche in paesi non musulmani, e l’insistenza sul fatto che un parallelo sistema shariatico può funzionare a fianco dei codici, civile e penale, di leggi improntate al giuspositivismo di estrazione occidentale. Il Salafismo non è altro che una forma di Islam che insiste sull’applicazione di ciò che è stato messo in pratica dal profeta Muhammad e dai suoi compagni (i primi quattro Califfi che succedettero a Maometto), con nessun adattamento ai tempi che cambiano e nessun riconoscimento di democrazia o leggi fatte dall’uomo. E se il salafismo, ancora oggi, trova pieno riscontro nella “Sharia” sunnita, cui si riconoscono Arabia Saudita e Stato Islamico, ben diverso dovrebbe essere per l’Islam europeo. Purtroppo così non è! I musulmani europei, soprattutto quelli di seconda generazione (e questo è un dato che dovrebbe far riflettere ancora di più!), stanno sempre più dimostrando che una completa integrazione nel sistema occidentale non è possibile. Un’espressione di questa mancata integrazione, anzi il rifiuto determinato a farlo, può essere trovata in quei quartieri in cui vivono quelle migliaia di musulmani che dominano le ormai note “no- go zone” in Francia. Zone simili ora esistono in altri paesi europei, in particolare il Belgio, l’Olanda, la Svezia e la Germania. Secondo un censimento britannico 2013, ci sono oltre 300 enclave musulmane del Paese e, lo ricordo, la Gran Bretagna l’anno scorso è stata la prima nazione occidentale che ha approvato una legge di dominio esclusivo musulmano, che gestisce la norma sull’eredità e qualche specificità del diritto di famiglia (assegnazione di minori al genitore maschio!) per essere applicata alle comunità musulmane.

Con un flusso di milioni di musulmani verso l’Europa, si stanno già sperimentando elevati livelli di scomposizione sociale oltre che costi per l’accoglienza esorbitanti. La sola politica di accoglienza, senza che dietro vi sia una chiara politica all’integrazione che possa ben spiegare, oltre che le differenze culturali, anche le possibilità di interazione sociale, può manifestarsi deleteria e fonte di radicalizzazione sociale. Nel Regno Unito la popolazione musulmana (3 milioni e mezzo) è la terza più grande in Europa. L’Islam di oggi è la seconda più grande religione nel Paese. Nel corso del tempo, molti musulmani britannici si sono integrati bene nella popolazione più ampia, al punto tale che il sindaco di Londra neoeletto è musulmano. Ma in generale, l’integrazione si è dimostrata un serio problema, soprattutto in città come Bradford, o parti di Londra come il Tower Hamlets. Le generazioni più giovani sono tendenzialmente più radicali e ortodosse dei loro padri e nonni. La stessa realtà, purtroppo, può essere trovata in tutta Europa. Un segno visibile di questo desiderio di distinguersi dal resto della società è la crescita costante del numero di giovani donne musulmane che indossano il niqab o il hi jab, visto come un modo per affermare la propria identità musulmana. In Germania, il numero dei salafiti è aumentato del 25% nella sola prima metà del 2015, secondo quanto riportato dal “Progetto Clarion”.

Sino a quando continuerà ad essere professata qualsiasi forma di salafismo, fatti come quello di Nizza continueranno a persistere e insistere. E chissà che un domani la jihad non ottenga il suo pieno sostegno anche degli altri credenti “moderati”. E allora, che ne sarà della cultura dei diritti dell’uomo dell’Occidente?

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:07