Erdoğan e il ritorno della pena capitale

Spiace dover rammentare che la Turchia non è mai stata una nazione liberale, tantomeno democratica nell’accezione italiana del termine.

La Turchia moderna nasce nel 1923 come stato laico retto da Mustafa Kemal Atatürk, e recentemente vira a Stato teocratico per mano dell’autocrate Recep Tayyip Erdoğan. Questo spartiacque tra Oriente ed Occidente non ha mai contemperato nel proprio ordinamento leggi che tutelassero minoranze etnico-religiose. In Turchia la popolazione ha una visione del mondo dissimile da quella che circola nelle nazioni europee. Infatti, fino al 1985 gli oppositori politici venivano trattati alla stregua dei criminali, prevedendo per loro soggiorni nelle stesse carceri che ospitavano spacciatori di droga e capi della criminalità organizzata. L’arresto dei circa 10mila oppositori, quelli che Erdoğan definisce golpisti, s’è consumato con le modalità tipiche dello Stato assoluto islamico (in Arabia Saudita non avrebbero fatto diversamente). Oggi Erdoğan non aspetta altro che la reintroduzione, per via parlamentare, della pena di morte. Così la corte marziale potrà comminare il massimo della pena per i golpisti, permettendo ad Erdoğan di affermare che la pena di morte è stata voluta dal popolo e votata dal Parlamento turco.

Ricordiamo che la mentalità di gran parte dell’elettorato turco, ovvero quelli che hanno votato Erdoğan, pretende che torni la pena di morte, e nelle modalità in uso prima del 1985: prevedevano per interesse nazionale che il massimo della pena detentiva venisse tramutata in pena capitale, ed anche anni dopo la sentenza definitive. Quindi una visione del diritto diametralmente opposta a quella romana ed europea, capace di trasformare qualsivoglia detenuto in una sorta di larva umana, onde evitare che il suo carcere venisse improvvisamente trasformato in impiccagione. Nonostante questa visione aberrante della vita e del diritto, la Turchia ha per importanza il secondo esercito della Nato. Soprattutto, è considerata dall’Unione europea il partner più prossimo, al punto che la Germania più volte ha tentato di mediarne l’entrata nell’Ue. Allora vi starete chiedendo cosa potrebbe capitare se i 10mila golpisti venissero messi a morte. Non succederebbe assolutamente nulla, e nemmeno se s’aggiungesse il decreto “svuota carceri” turco, ovvero la trasformazione in pena capitale per gli oltre 23mila condannati all’ergastolo in Turchia. In Italia giornali e tivù griderebbero all’abominio per qualche giorno, ma nel Paese non si solleverebbe alcuna indignazione popolare antiturca. Del resto le cronache recenti ci hanno mostrato gli italiani in lacrime per le sconfitte calcistiche in Francia, non certo per i connazionali trucidati in Bangladesh e Francia. E la stessa Ue potrebbe davvero poco, perché la Turchia è oggi la porta d’accesso più importante per l’immigrazione clandestina nella zona Euro: quindi la Germania intende tenersela buona.

Dal canto suo, Erdoğan conosce il proprio elettorato, sa che in Turchia la pena di morte è gradita alla maggior parte degli elettori, il dissenso verso questa misura viene guardato male dal regime “democratico”. Di fatto si tratterebbe di un vero e proprio genicidio, ma nessuno oggi è in grado di fermare il boia dell’Anatolia. Soprattutto gli Stati Uniti tentano di tirarsi dalla propria le simpatie di Erdogan, per strapparlo all’abbraccio che da pochi mesi lo lega a Vladimir Putin. Poi come potrebbero gli Usa, nazione occidentale che mantiene la pena di morte in molti suoi Stati confederali, condannare Erdogan per l’uso eccessivo di impiccagioni e fucilazioni? Va aggiunto che il premier turco ha recentemente incassato anche il plauso di Putin per come ha celermente arrestato tutti i golpisti. E se vogliamo dirla tutta, la Turchia è la sola oggi in grado di contrastare il Califfato islamico militarmente ed energeticamente: non dimentichiamo che Erdogan (la sua famiglia di petrolio se ne intende) può mettere in crisi il traffico di barili di greggio dell’Isis.

Ora le scuole di pensiero si dividono. Infatti c’è chi sosterrebbe che Erdoğan potrebbe gradire la reintroduzione della pena di morte per riaffermare con una grande grazia il suo ruolo di nuovo padre della patria: in questo doppiando quanto fece Atatürk che amnistiò tutti i nemici dei “giovani turchi” (partito d’origine di Atatürk). Oppure potrebbe non muovere nemmeno un dito, lasciando che i tribunali speciali mandino a morte tutti i suoi nemici e, casomai, svuotino le carceri come si usava un tempo nel Paese ottomano, convertendo il carcere a vita in impiccagione. In entrambi i casi, la Turchia torna a dimostrarsi un Paese lontano dalla visione europea del diritto. Di fatto anche ad Ankara è in corso un regolamento di conti tra due visioni dello Stato islamico, quella di Erdoğan e quella del suo rivale oggi ospite degli Usa.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:58