Il golpe in Turchia: riflessi regionali

Oltre ai contraccolpi che sta provocando in Turchia, con migliaia di arresti tra gli oppositori del regime, lo stato di emergenza per i prossimi tre mesi e la sospensione della Convenzione europea sui diritti umani, il fallito golpe dei generali turchi determinerà conseguenze clamorose per l'intero Medio Oriente, considerato il ruolo centrale avuto dalla Turchia nei diversi scenari e nelle crisi in corso.

Cambieranno innanzi tutto le priorità del regime turco, che nei prossimi lunghi mesi sarà concentrato interamente negli affari interni e dedicherà meno attenzione e meno risorse nelle questioni regionali. La ristrutturazione radicale dell’esercito, avviata dal regime già nelle ore del dopo golpe con la rimozione delle prime linee di comando e di moltissimi ufficiali responsabili dei reparti operativi, creerà inevitabilmente una generale confusione e uno smarrimento diffuso tra gli ufficiali non toccati dalle punizioni e dai provvedimenti restrittivi decisi dal Presidente Erdogan e dal ministro della Difesa, Fikri Isik. Ne conseguirà un indebolimento del morale della truppa e un netto calo della motivazione nella lotta agli jihadisti del Califfo Nero. Erdogan ha ordinato agli ufficiali a lui fedeli di utilizzare le migliori risorse e i reparti più addestrati dell’esercito per “stanare i nemici del popolo turco”, gli autori e i fiancheggiatori del fallito golpe, che il Primo Ministro Binali Yildirim ha definito “terroristi”, che si annidano ancora all’interno delle forze armate.

Se le forze armate e i servizi di intelligence turchi verranno impiegati prioritariamente nell’operazione di pulizia interna, si creeranno probabilmente dei vuoti nelle maglie di controllo dei quali potrebbero beneficiare le cellule jihadiste di Daech, che sono numerose all’interno dei confini turchi. La Turchia potrebbe diventare quindi obiettivo facilitato per nuovi attentati di matrice jihadista, sul modello di quello compiuto lo scorso giugno all’aeroporto di Istanbul.

L’indebolimento dell’azione turca sul fronte siriano sarà l’altra conseguenza del fallito golpe. E’ assai probabile che Erdogan decida di alleggerire, almeno per i prossimi mesi, il ruolo turco nel dossier Siria. Il Sultano di Ankara ha troppi fronti aperti, contro i curdi, contro i jihadisti di Daesh, contro gli alawiti di Assad e ora anche migliaia di cospiratori all’interno del suo stesso esercito.

Dopo il braccio di ferro con Putin e le relazioni mai troppo facili con la Casa Bianca, il presidente turco, che aveva gradualmente ammorbidito il suo atteggiamento nei confronti della Siria, sarà ora costretto a mettere temporaneamente da parte i suoi piani per far cadere il regime siriano. La sua idea di creare una "zona cuscinetto" nel nord della Siria non aveva fatto breccia e ora le tensioni interne post-golpe potrebbero far ridurre se non bloccare la fornitura, attraverso il confine turco-siriano, degli aiuti militari e logistici ai gruppi dell'opposizione siriana. E per le forze anti-Assad sarebbe un brutto colpo dal momento che le vie di rifornimento che passavano dal Libano sono occupate dalle truppe lealiste siriane e dai loro alleati libanesi Hezbollah, al sud la Giordania resta molto cauta nell'aprire i propri confini ai combattenti dell'opposizione siriana e ad est il confine con l'Iraq è zona di guerra tra Daesh e l’esercito di Baghdad.

Il fallito colpo di stato in Turchia dovrebbe quindi avere un impatto diretto sulla questione siriana, nella misura in cui i turchi saranno meno coinvolti al fianco dell'opposizione anti-Assad e più tiepidi nel loro desiderio di rovesciare il regime di Damasco. Lo sganciamento della Turchia potrebbe, a sua volta, influenzare le scelte della Arabia Saudita, ormai rimasta sola nella posizione estrema anti-Assad. Il ministro degli esteri saudita, Adel Al-Jubeir continua a chiedere la partenza di Assad "volontariamente o con la forza" ma la sua voce ormai sembra essere isolata. E forse anche il Libano finalmente potrebbe trarre beneficio da questo nuovo scenario per trovare una quadra sulla questione dell’elezione presidenziale, dopo oltre due anni dalla partenza dell’ultimo capo dello Stato.

Chissà se gli autori del fallito golpe in Turchia si attendevano questo effetto domino regionale?

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:02