Diritti umani: una “controffensiva”

mercoledì 31 agosto 2016


Sono tornato per la prima volta in Sudafrica quindici anni dopo la disastrosa “Conferenza mondiale contro il razzismo, la discriminazione razziale, la xenofobia e l’intolleranza” convocata a Durban dall’Unesco. In quella sede le organizzazioni non governative avevano un proprio limitato diritto di tribuna nell’ambito di un evento essenzialmente interstatale, che vide anche la sfilata di una serie di autocrati impegnati più ad inveire contro gli Stati Uniti, Israele e altri Paesi di democrazia liberale che ad analizzare il tema. Nulla poterono gli allora segretario generale dell’Onu Kofi Annan e Alto Commissario per i diritti umani Mary Robinson, che avevano aperto l’evento, per scongiurarne il naufragio. La pretesa di alcuni regimi di definire Israele “Stato razzista” – amplificata anche da finte Ong sponsorizzate dai regimi stessi, come quello degli ayatollah iraniani – e la richiesta di personaggi come il dittatore dello Zimbabwe, Robert Mugabe, di ottenere compensazioni monetarie per il colonialismo e per la schiavitù di secoli passati (pratica della quale quasi ogni Stato o comunità è stata colpevole in un momento o in un altro della storia) spinsero la conferenza completamente fuori rotta: con l’abbandono da parte di Stati Uniti e Israele, l’imbarazzata resistenza dell’Unione europea e di altri Stati democratici e la faticosa elaborazione di una dichiarazione finale completamente inutile.

Personaggi come Gheddafi e Fidel Castro furono accolti con speciale entusiasmo da gruppi che si definivano “anti-imperialisti” e “antisionisti”, che approvarono una risoluzione del forum parallelo della società civile dalla quale presero decisamente le distanze le principali organizzazioni non governative internazionali. Eravamo nel 2001: solo tre giorni dopo l’approvazione della dichiarazione finale – e quasi a tragico coronamento di quel fallimento – fu l’11 settembre. Molte cose sono cambiate da allora nel campo dei diritti umani. Alcuni segnali sono stati positivi, come l’approvazione da parte dell’Assemblea generale dell’Onu, nel 2007 e in successive sessioni, di Risoluzioni per la moratoria universale delle esecuzioni e l’entrata in vigore (per gli Stati che ne hanno ratificato lo Statuto) della Corte Penale Internazionale: due delle più importanti campagne condotte con successo dal Partito Radicale transnazionale, per le quali l’Italia ha svolto un ruolo trainante.

Tuttavia, nello stesso periodo vi sono stati sviluppi gravissimi. L’emergere di reti terroristiche su scala globale, l’intensificazione dell’autoritarismo e dell’espansionismo bellico di alcuni Stati, le infiltrazioni islamistiche e le ondate migratorie di decine di milioni di migranti vedono sostanzialmente impreparati sia gli Stati democratici che il sistema delle organizzazioni internazionali. La relativizzazione dei diritti, che l’umanità ha impiegato millenni a proclamare “universali”, ne riduce in molte aree del pianeta la portata e ne nega di fatto l’applicazione sotto il pretesto di interpretazioni locali o culturali.

È a queste sfide che ha cercato di rispondere a Johannesburg il 39esimo Congresso della Federazione Internazionale dei Diritti Umani (Fidh nella sigla francese), organizzato insieme con Lawyers for Human Rights del Sudafrica, Centre for Human Rights del Botswana e Zimrights dello Zimbabwe. Alla Fidh, fondata nel 1922 con sede centrale a Parigi, sono affiliate 178 associazioni attive in 120 Paesi: in Italia la Lega Italiana dei Diritti dell’Uomo, fondata nel 1919 (che rappresento a Johannesburg insieme con Maria Vittoria Arpaia e Riccardo Scarpa), e l’Unione Forense per la Tutela dei Diritti Umani. Circa 400 i partecipanti al Congresso.

È proprio in una delle versioni del titolo del Congresso che è contenuto, a mio avviso, il suo significato più profondo. Se, infatti, traducendolo dalla versione francese o da quella spagnola, è letteralmente “All’offensiva per i diritti umani”, nella versione inglese è: “Fighting back for human rights”; quindi non una semplice offensiva, ma una controffensiva. Al di là di tutte le risoluzioni specifiche che il Congresso ha discusso e approvato (che saranno disponibili sui siti fidh.org e liduonlus.it), è oggi qui la vera chiave del nostro impegno: i diritti umani, per la cui attuazione dal 1945 per circa mezzo secolo l’insieme della comunità internazionale – pur con eccezioni e contraddizioni – aveva compiuto enormi progressi, subiscono da almeno quindici anni attacchi continui e pressanti, ai quali è sempre più urgente reagire prima che le Convenzioni internazionali in materia siano relegate allo status di utopie. I difensori dei diritti umani di tutto il mondo, molti dei quali continuano ad essere perseguitati nei propri Paesi, dovranno ripartire da Johannesburg con decisione, competenze e coesione ancora maggiori – e con non meno coraggio di quello che tanti fra loro hanno finora dimostrato, spesso pagando per i propri ideali un prezzo altissimo.

(*) Membro della Lidu Onlus e del Consiglio direttivo di Nessuno tocchi Caino


di Antonio Stango (*)