La guerra e   il diritto umanitario

I novantasei bimbi uccisi nell’ultima settimana ad Aleppo, le immagini di bambini feriti, di ospedali e scuole distrutti dai bombardamenti che quotidianamente pervengono dai teatri di guerra ci impongono delle domande che non attengono alla politica, alla cronaca o alla strategia ma agli aspetti normativi e giuridici dei conflitti. Esiste infatti un diritto della guerra e un diritto umanitario perché è pur sempre nell’alveo del diritto che ogni civiltà deve ricondurre qualsiasi attività umana.

Davanti alla fotografia di Omar, quel bambino siriano, coperto di polvere, muto, attonito, appena estratto dalle macerie di un edificio di Aleppo intervengono riflessioni che da anni si ripropongono davanti al dilagare delle guerre e del terrorismo. È giusto bombardare Aleppo? Ci sono aspetti tecnico-giuridici altrettanto importanti da considerare oltre alle solite considerazioni politiche o morali? Esistono regole, norme e principi ai quali appellarsi onde mettere chi di dovere in grado di pronunciarsi, di decidere e sancire autorevolmente?

Esiste un diritto internazionale - questo è risaputo - ma esiste anche un diritto internazionale umanitario e un diritto internazionale dei conflitti armati?

Sì, esistono, per meglio dire, norme internazionali condivise che pongono limiti e soprattutto tutelano in caso di guerra le fasce deboli ed inconsapevoli.

Un grande giurista del secolo scorso, Pietro Verri, generale dei carabinieri e discendente del più noto Verri illuminista, considerava la guerra un evento che non può essere ignorato e a coloro che affermavano che la guerra è guerra e non esiste una guerra pulita obiettava che già era un risultato non trascurabile, anche se minimo, porre la guerra in una posizione intermedia tra guerra totalmente pulita e guerra totalmente sporca. Pensava che limitarsi a definirla un crimine da prevenire o punire e non da regolamentare con uno speciale diritto fosse dimostrazione di pura illusione.

A questo principio si sono ispirate le Convenzioni di Ginevra del 1949 e i successivi Protocolli aggiuntivi del 1977, sottoscritti per adeguare la normativa alle nuove tipologie di conflittualità sorte negli anni Settanta a seguito delle guerre di liberazione combattute dai Paesi sotto regime coloniale. Le guerre non erano più quelle tradizionali tra Stati ma si stavano affacciando le nuove forme di conflitto interno che ancora oggi fanno discutere in merito all'applicazione o meno delle regole del diritto bellico. Una Convenzione del 1954 è stata, inoltre, sottoscritta all’Aja, per la tutela e la salvaguardia dei Beni culturali in caso di conflitto armato. Un Protocollo integrativo del 1999 ne ha aggiornato i contenuti.

Anche per quanto riguarda la repressione delle violazioni commesse nel corso dei conflitti la Comunità internazionale ha provveduto dapprima con i Tribunali internazionali ad hoc, come quello per la ex Jugoslavia o quello per il Ruanda e poi con la creazione di una Corte penale internazionale, entrata in vigore nel 2002 senza la partecipazione, purtroppo, di grandi potenze come gli Stati Uniti e Israele.

Molti Paesi, tra cui l'Italia, hanno provveduto ad un’intensa e capillare opera di diffusione della materia tramite la Croce Rossa, le Forze armate e l’Università, ove sono stati da tempo istituiti specifici corsi di diritto internazionale umanitario, nell'ambito delle facoltà di Giurisprudenza.

Nonostante tutti questi sforzi, oltre alle condotte riprovevoli nel corso delle operazioni, si continuano a registrare anche gravi violazioni dei presupposti che legittimano un intervento, spesso mascherati dalla cosiddetta responsabilità di proteggere, altrimenti chiamata R2P, responsibility to protect, in base alla quale si ritiene lecito intervenire in un Paese in cui vengono violati sistematicamente i diritti umani dei cittadini e il governo sovrano si dimostra impotente o riluttante ad agire.

Già nel diciottesimo secolo Jean-Jaques Rousseau affermava che la guerra non è una relazione tra un uomo ed un altro uomo, bensì una relazione tra Stati, in cui gli individui sono nemici solo per caso, non come uomini, nemmeno come cittadini ma solo in quanto soldati.

Questo principio ha informato tutte le Convenzioni in materia che sono susseguite nei secoli successivi ove la persona umana è stata sempre posta al centro di ogni azione. Le giurisdizioni domestiche, in primis, devono fare rispettare le Convenzioni e, qualora ciò non succeda, deve intervenire la Corte penale internazionale con la sua competenza complementare rispetto a quella dei singoli Stati. Troppe violazioni si stanno registrando sotto gli occhi di tutti, qualcosa nel meccanismo non sta funzionando. La Comunità internazionale deve correre al più presto ai ripari.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:58