Israele-Palestina:   la lettera a Flanagan

Poco tempo fa, lei ha affermato: “Sto analizzando attivamente e continuamente, se il riconoscimento da parte dell’Irlanda in un prossimo futuro di uno Stato palestinese possa essere un passo utile in relazione al processo di pace in Medio Oriente”.

In quanto sostenitore di lunga data del processo di pace israelo-palestinese e della ricerca di un accordo a due Stati che possa funzionare, la esorto a non farlo. Mi rendo perfettamente conto che l’Irlanda, nonostante intrattenga robusti rapporti bilaterali con Israele, è uno dei più tenaci sostenitori dei palestinesi all’interno dell’Unione europea, e che sceglie generalmente di allinearsi con i Paesi membri più critici dello Stato ebraico. E so bene – avendolo sentito dire direttamente da diplomatici irlandesi – che, a proposito del conflitto israelo-palestinese, l’Irlanda tende a sovrapporvi la propria situazione politica - vale a dire, il rapporto tra la Repubblica d’Irlanda e L’Irlanda del Nord – identificando Israele come i “British” e i palestinesi come gli “Irish”.

A parte il fatto che le due questioni non sono analoghe – a differenza della situazione precaria di Israele, l’esistenza stessa dell’Irlanda non è in questione, né lo è il suo diritto stesso di esistere – la decisione di riconoscere uno Stato palestinese al di fuori di un accordo negoziato tra la parti potrebbe creare gravi danni alla causa che lei afferma di sostenere.

Lei afferma di voler portare avanti il “processo di pace in Medio Oriente” – ma questo termine è errato, naturalmente; perché si tratta propriamente del processo di pace tra israeliani e palestinesi, e null’altro. Questo nome generico ha dato origine alla convinzione che la soluzione del conflitto israelo-palestinese sia la chiave per inaugurare una nuova pacifica Era nella regione. Questa illusione sarebbe dovuta scomparire da tempo, e di certo a seguito dell’avvento della “Primavera araba”, che ha aperto a tutti gli occhi sulle cause profonde del conflitto in Medio Oriente, le sue instabilità, le sue convulsioni.

I “deficit di libertà”, i “deficit di genere” e i “deficit di conoscenza”, tutti citati come endemici nel mondo arabo dal “Rapporto sullo Sviluppo Umano nel Mondo Arabo” prodotto dalle Nazioni Unite, non saranno risolti con un accordo israelo-palestinese, non più di quanto potranno esserlo la barbarie in Siria, i giochi di potere iraniani nella regione, il confronto tra sunniti e sciiti, o gli Stati falliti, dalla Libia allo Yemen. E a parte tutto questo, cosa si guadagnerebbe dal riconoscimento unilaterale di uno Stato palestinese da parte dell’Irlanda?

Aumenterebbe, forse, la possibilità di portare le parti al tavolo dei negoziati per lavorare a una soluzione definitiva? Al contrario, è molto più probabile che questo evento si allontani, rendendo più remoto il raggiungimento dell’obiettivo che lei dice di voler ottenere. Ancora una volta, come fece la Svezia nel 2014, i palestinesi riceverebbero un regalo politico che non si meritano. Otterrebbero il pieno riconoscimento da parte di un membro rispettato della comunità internazionale, mentre il loro presidente giunge al dodicesimo anno del suo mandato quadriennale; mentre non vi è alcuna disposizione per la successione pacifica dei poteri, mentre l’entità che egli professa di presiedere è divisa tra due aree inconciliabili (Cisgiordania e Gaza), mentre latita dal tavolo dei negoziati bilaterali senza motivo giustificato, mentre ricorre all’incitamento e alla glorificazione del “martirio” contro Israele.

Sicuramente l’Irlanda potrebbe svolgere un ruolo più costruttivo per riconoscere e affrontare questi problemi, che non sono periferici a qualsiasi processo di pace, ma sono piuttosto al centro della questione. Aiutare i palestinesi a capire che per diventare uno Stato sovrano poi, devono comportarsi in modo più responsabile ora, potrebbe essere un importante contributo alla creazione di un terreno fertile per un futuro accordo. Inoltre, non è un segreto che se l’Irlanda decidesse comunque di andare avanti con il riconoscimento unilaterale, aiuterebbe probabilmente a rafforzare quelle forze in Israele che affermano che la comunità internazionale non è capace di adottare un approccio equilibrato, ma che anzi aspetta solo il momento opportuno per isolare Israele per il bene della “solidarietà” ai palestinesi. Date queste condizioni, nessuna nazione interessata alla giustizia e alla risoluzione pacifica dei conflitti sceglierebbe di percorrere questa strada.

E infine, in quanto amico dell’Europa da una vita intera, mi permetta un suggerimento rispettoso. Forse la vostra energia diplomatica potrebbe essere utilizzata meglio nella sua regione. L’Irlanda non potrà risolvere nessuno dei conflitti in Medio Oriente, ma in quanto Stato membro dell’Ue ha un ruolo fondamentale da svolgere nel decidere la direzione futura del continente - e per coloro che hanno profondamente a cuore quel futuro, e che sono preoccupati per via di una situazione più precaria oggi di quanto non lo sembrasse in passato, l’Europa ha bisogno di tutto l’aiuto che si possa ottenere.

Molteplici sfide provengono da varie direzioni – dalla Brexit a un euroscetticismo rinvigorito; dai partiti xenofobi e populisti che minacciano l’ordine esistente alle iniziative aggressive della Russia di dividere l’Europa da se stessa; dall’intervento russo in Crimea, in Ucraina orientale, in Abkhazia, nell’Ossezia del Sud e in Transnistria, alle prospettive future riguardo l’immigrazione, l’integrazione e l’identità in Europa; per non parlare della stagnazione economica e dei funesti tassi di disoccupazione giovanile in alcuni Paesi dell’Unione europea.

Ministro Flanagan, le assicuro che Israele e i suoi amici sparsi per il mondo desiderano una pace durevole non meno di quanto la desideri lei, e saranno loro a trarne beneficio più di chiunque altro sul pianeta. Il problema, però, non è il desiderio, che è sempre esistito. Il problema è piuttosto come tradurlo in realtà, dato che l’intransigenza palestinese ne è un ostacolo presente sin dalla rinascita di Israele nel 1948. E infine, signor ministro, la prego di ricordare che in quanto popoli con una lunga storia, gli irlandesi e gli ebrei hanno molto in comune. Fu il poeta leggendario William Butler Yeats a raccontarcelo. “Essere irlandese”, scrisse, “mi ha dato un costante senso di tragedia, che mi ha sostenuto attraverso temporanei periodi di gioia”. Ecco, questa frase di Yeats descrive perfettamente gli ebrei e il modo in cui vediamo il mondo!

(*) Direttore esecutivo dell’American Jewish Committee

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:07