Corea, la pericolosa fragilità di Kim Jong-un

Il 2017 in Asia inizia con una spy story (purtroppo reale) in Malesia. Il protagonista, purtroppo per lui, è Kim Jong-nam, fratellastro in esilio di Kim Jong-un, il dittatore della Corea del Nord. All’aeroporto di Kuala Lumpur è stato avvelenato. La vicenda è ancora, in gran parte, circondata dal mistero.

Kim Jong-nam era stato privato del suo titolo di “principe ereditario” del regno eremita dopo aver tentato, nel 2001, di entrare in Giappone con documenti falsi. Voleva visitare Disneyland Tokyo. Figlio di una relazione extraconiugale di Kim Jong-il e un’amante, l’attrice Song Hye-rim, poi morta a Mosca, Kim Jong-nam ha speso la sua enorme eredità non per governare, ma per girare l’Asia e fra i casinò di Macao, dove viveva con la sua famiglia. Si era rifatto un’immagine, come contestatore esule del regime nordcoreano. Aveva dichiarato di essere stato espulso dalla famiglia e dal suo Paese, non per la figuraccia rimediata a Tokyo, ma perché aveva osato suggerire riforme modernizzatrici. Nel 2012 avevano già tentato di ucciderlo: un possibile attentatore era stato arrestato a Seul. Adesso, a Kuala Lumpur, il regime retto da fratellastro minore Kim Jong-un se n’è sbarazzato una volta per tutte.

Le autrici materiali del delitto sarebbero due donne, una con passaporto vietnamita e l’altra con un’identità indonesiana. Ci sarebbe anche un complice, maschio, di cui non si conosce ancora l’identità. Non si conosce ancora bene l’arma del delitto. Secondo la polizia malese, una delle due donne, quella con passaporto indonesiano, si sarebbe avvicinata a Kim e lo avrebbe attaccato all’improvviso con un ago avvelenato. In una versione successiva, sempre fornita dalla polizia malese, si parla invece di un fazzoletto inzuppato di veleno. In ogni caso, è stato usato del veleno.

Purtroppo per i lettori, la spy story è destinata a restare in gran parte un mistero perché riguarda la Corea del Nord, che è uno dei regimi più segreti del mondo e la Malesia che non è famosa per diffondere notizie che la riguardano. Basti pensare che la conferma ufficiale della morte di Kim Jong-nam è stata diffusa dalle autorità malesi solo mercoledì, quando la notizia circolava già da giorni su tutti i media internazionali.

Ammesso che Kim Jong-nam sia stato assassinato per ordine del regime di Pyongyang, come è molto probabile che sia, lo scenario che ci si presenta è inquietante. A dir poco. Infatti, sin dai primi giorni di “regno”, il trentaquattrenne Kim Jong-un ha epurato e ucciso una quantità impressionante di gerarchi e parenti, a partire da suo zio Chang Sung-taek, il cui ruolo era quello di “reggente”. Il defunto fratellastro, in un’intervista rilasciata nel 2012 alla stampa giapponese, aveva detto di lui che non sarebbe stato all’altezza del compito, che avrebbe potuto governare solo con l’aiuto degli alti ranghi dell’esercito e dei parenti più anziani. Le continue epurazioni parrebbero un modo scelto dal nuovo dittatore per segnalare al suo mondo quanto sia in grado di governare da solo. Oltre che essere un segnale di forte instabilità, politica e personale.

Alle epurazioni, che sono e restano una questione interna al regime nordcoreano, si accompagnano però altre prove di forza che riguardano tutto il mondo. Giusto due giorni prima dell’assassinio di Kim Jong-nam, infatti, le forze nordcoreane hanno lanciato un missile nel Mar del Giappone. Il test, effettuato contro le risoluzioni Onu che vietano esperimenti missilistici di questo genere, segna anche un salto di qualità tecnologico: per la prima volta le forze armate nordcoreane hanno lanciato un vettore a combustile solido, una tecnologia che consente tempi di preparazione al lancio molto inferiori e di una maggior velocità di uscita dall’atmosfera rispetto ai precedenti ordigni a combustibile liquido. Il missile è stato trasportato da un veicolo mobile cingolato, che permette lanci anche in luoghi lontani da strade e quindi più difficilmente monitorabili dalla ricognizione sudcoreana e americana. E quel veicolo è interamente prodotto in Corea del Nord, quale segnale di indipendenza anche dalla Cina.

Il lancio non va letto come un episodio isolato, ma in prospettiva. Negli ultimi 13 mesi, la Corea del Nord ha effettuato 20 lanci di missili e 2 test nucleari sotterranei. Si tratta di un’attività militare aggressiva che non ha precedenti, neppure nella turbolenta storia del regno eremita. È evidente lo sforzo di dotarsi di un’arma atomica funzionante e di un vettore capace di lanciarla in territorio nemico. Il missile appena testato sarebbe in grado colpire ogni città del Giappone.

Anche in questo caso, si può essere ottimisti. Se è rimasto un barlume di razionalità nel regime nordcoreano, anche Kim Jong-un sa che un attacco nucleare è un suicidio collettivo del suo Paese. Il tono delle dichiarazioni è uno solo, ribadito anche il 25 gennaio scorso: “Se il mio potere sarà messo a rischio, sono pronto a colpire Los Angeles con testate nucleari”. Questa è l’intenzione: il regime è debole e sta dotandosi di una potente arma di ricatto. Si arma perché è debole. È debole perché, armandosi, si è di nuovo tirato contro tutto il mondo. È una spirale da cui è difficile uscire. E il fatto che a gestire questa situazione sia un giovane che fa uccidere parenti e gerarchi come il più decadente degli imperatori romani non fa ben sperare.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:08