Egitto, la strage di Minya: la continua persecuzione dei copti

sabato 27 maggio 2017


A Minya, nell’Egitto occidentale, di mattina, un bus carico di pellegrini copti diretti al monastero di Anba Samuel è stato intercettato da un commando di 10 terroristi jihadisti travestiti da soldati regolari. Il gruppo di fuoco ha sparato a bruciapelo sul pullman, che aveva cinquanta persone a bordo, fra cui famiglie con bambini, mentre uno dei terroristi filmava la scena, per rilanciarla successivamente sui siti jihadisti. Ventisei pellegrini sono morti sul colpo, secondo fonti del governo egiziano. Un bilancio che, probabilmente, sarà corretto al rialzo nelle prossime ore: fonti della Chiesa ortodossa copta parlavano già di 36 vittime nel primo pomeriggio di ieri. I terroristi sono poi fuggiti a bordo di tre fuoristrada e si sono dileguati nel deserto.

La strage avviene nel primo venerdì del Ramadan, il mese sacro dei musulmani. I venerdì di Ramadan, stando all’esperienza dell’anno scorso, sono diventati i giorni più pericolosi dell’anno, quelli in cui i gruppi di jihadisti colpiscono maggiormente cristiani, musulmani sciiti e altri gruppi di “eretici” o “infedeli”. 238 attentati con 1850 vittime in 32 paesi del mondo è il tragico bilancio del mese di Ramadan del 2016. Quello del 2017 già si annuncia sanguinoso.

In Egitto, in particolare, lo Stato Islamico sta compiendo un salto di qualità nel terrorismo contro i cristiani. Ha iniziato a colpirli in modo “discreto”, uccidendone una decina in poche settimane nella città di El Arish, Sinai, lo scorso inverno. Diventata una “terra di nessuno” sin dai mesi confusi della rivoluzione contro Mubarak nel 2011, il Sinai sta trasformandosi in una nuova roccaforte dello Stato Islamico. Nemmeno la politica del generale Al Sisi, con la massiccia presenza dell’esercito e la ri-colonizzazione agricola della fascia di confine con Gaza e Israele, è riuscita a sradicare la presenza jihadista dalle montagne della penisola protesa nel Mar Rosso. Con un gesto altamente simbolico, lo scorso 20 aprile, l’Isis ha teso un’imboscata all’esercito egiziano proprio di fronte al monastero di Santa Caterina, ai piedi del Monte Sinai e del luogo in cui, secondo la Bibbia, Mosè ricevette le tavole del Decalogo. Si trattava di una sfida lanciata contro l’esercito e, al tempo stesso, un avvertimento ai cristiani d’Egitto. Meno di due settimane prima, il 9 aprile, Domenica delle Palme, lo Stato Islamico aveva fatto strage dei cristiani in due chiese, a Tanta e Alessandria: 48 le vittime, in quell’occasione. E proprio alla vigilia della visita del Papa nel paese. Prima ancora, a dicembre, lo Stato Islamico aveva colpito duramente la comunità copta egiziana con l’attentato al Cairo nella chiesa dei santi Pietro e Paolo ad Abbassiya, dentro al complesso della cattedrale di San Marco, cuore della comunità copta egiziana

Ma sarebbe riduttivo leggere questa impennata di terrorismo anti-cristiano in Egitto alla campagna terroristica dell’Isis. Lo Stato Islamico mira, ovunque si insedi, a sradicare tutte le minoranze religiose, in Egitto, così come ha fatto in Siria, in Iraq, in Libia, in Nigeria. Ma la minoranza copta egiziana non è perseguitata solo dall’Isis. Attualmente è, paradossalmente, più protetta di prima. Dal 2013, infatti, in Egitto governa con pugno di ferro un governo militare laico, sostenuto attivamente dai cristiani perché il precedente regime, instauratosi con l’elezione del presidente Morsi, era ancora peggiore. La breve amministrazione Morsi era caratterizzata da un vero stillicidio di attacchi e abusi delle autorità contro la minoranza cristiana. I terroristi di oggi giustificano le loro azioni accusando i cristiani di “collaborazionismo” con il regime militare. I terroristi dal 2011 (anno della rivoluzione e dell’ascesa dei Fratelli Musulmani) al 2013 agivano nella quasi completa impunità. Il 2011 è considerato, almeno finora, il peggiore per le violenze settarie. Anche l’esercito, il 9 e 10 ottobre 2011, si macchiò della strage di Maspero, quando sparò su una manifestazione di copti uccidendone 28 e ferendone più di 200. Prima ancora della rivoluzione, quando i copti erano teoricamente protetti dalle autorità “laiche” di Mubarak, il terrorismo religioso era frequente, gli abusi e le discriminazioni sul lavoro un fatto quotidiano. Uno dei fattori scatenanti della rivoluzione del gennaio 2011, fu proprio un’altra bomba in una chiesa: la strage di San Silvestro, quando un attentatore suicida si fece esplodere durante la funzione del 1 gennaio nella chiesa di San Marco e Pietro ad Alessandria. I morti furono 23, in quell’occasione. E lo scalpore fu grande. Tanto grande che, nella rivolta di piazza Tahrir, i copti erano presenti in modo massiccio. Speravano che, con la fine della dittatura di Mubarak e il cambio di regime, potessero conquistare più libertà religiosa. I fatti successivi, inclusa la strage di ieri, sono purtroppo la dimostrazione che fosse solo una speranza illusoria.


di Stefano Magni