India e Pakistan, 70 anni di guerra

Siamo alle porte dell’agosto 2017, due paesi asiatici si preparano a celebrare, ciascuno a modo suo, la loro indipendenza. Sono l’India e il Pakistan che, il 15 agosto 1947 divennero paesi indipendenti dall’Impero Britannico. La Bbc (televisione di Stato britannica) ha realizzato un lungo reportage sull’odio reciproco che ancora alberga nei cittadini e nei governi delle due ex colonie. Esattamente come per il tentativo fallito di spartire l’ex mandato britannico in Palestina, sfociato nella prima guerra arabo-israeliana e in una crisi mediorientale che non è ancora finita oggi, anche la spartizione di quello che era “il più grande gioiello della corona” imperiale britannica ha dato origine da due Stati fra loro nemici e in una guerra mai conclusa. È una guerra fredda quando va bene: anche il reportage della Bbc ricorda l’assenza di contatti diretti fra India e Pakistan, niente voli fra le due capitali, niente partite di cricket (eredità britannica più amata dai locali di entrambi i paesi) sui reciproci territori, un confine ancora chiuso, parate militari ostili per sfoggiare armamenti (e testosterone) al nemico.

Quella fra Pakistan e India è stata però, più volte, anche una guerra calda. La partizione stessa è stata un trauma tale che, in confronto, la crisi mediorientale pare una lite di condominio. Ci fu uno scambio di popolazione che coinvolse ben 12 milioni di persone, fuggite da due paesi che non erano più loro. E nella prima guerra indo-pakistana, scoppiata immediatamente dopo l’indipendenza, morirono 1 milione di uomini, fra militari e civili. La guerra scoppiò di nuovo nel 1965, per il tentativo pakistano di conquistare la regione del Kashmir, nell’estremo Nord del subcontinente indiano. Nel 1971 iniziò il genocidio scatenato dal Pakistan nel Bangladesh (allora Pakistan Orientale), seguito al tentativo dei bengalesi di dichiarare l’indipendenza: 1 milione di civili assassinati. Prima che l’India intervenisse per fermare il genocidio, facendo scoppiare la terza e ultima guerra indo-pakistana. La guerra fu vinta dall’India e il Pakistan Orientale divenne un paese indipendente, il Bangladesh.

La guerra fredda fra le due ex colonie britanniche rischiò ancora di diventare calda, in almeno due occasioni negli ultimi vent’anni. La prima fu nel 1999, nella cosiddetta “crisi del Kargil”: i pakistani infiltrarono guerriglieri nel Kashmir indiano, l’India reagì con una mobilitazione e un’azione militare diretta. Iniziò un’escalation che fu fermata grazie alla mediazione statunitense, promossa dall’allora presidente Clinton. La seconda occasione fu l’assalto al parlamento indiano da parte di terroristi legati al Pakistan, nel 2001. Anche in questo caso, l’India avviò la mobilitazione militare, ma quando la portò a termine la diplomazia americana aveva già ricondotto i due governi alla ragione. In tutti e due i casi, solo alcuni specialisti di relazioni internazionali si occuparono di quelle crisi, nel pieno disinteresse dell’opinione pubblica europea e nordamericana. Eppure, in entrambi i casi, rischiammo di assistere allo scoppio di una guerra nucleare. E rischiamo tuttora, anche se non ce ne rendiamo conto.

La guerra fredda fra India e Pakistan è infatti di interesse mondiale e non è solo uno dei tanti conflitti regionali che ci sono al mondo. Lo è proprio perché il Pakistan dispone di un arsenale di 130 testate nucleari e potrebbe arrivare a quota 200 entro la fine del decennio, con il più rapido programma di crescita di armamenti atomici nel mondo. Mentre l’India dispone di 120 testate nucleari. Sia il Pakistan che l’India hanno missili a corto e medio raggio in grado di colpire il territorio nemico in tutta la sua profondità. L’India dispone anche di un suo ridotto sistema di difesa anti-missile. La crisi è particolarmente preoccupante, molto più di quella coreana o di quella iraniana. Se infatti la Corea del Nord dovrebbe deliberatamente accettare il suicidio collettivo per lanciare le sue testate nucleari e l’Iran non dispone ancora dell’arma atomica, il Pakistan contempla l’uso del suo arsenale nell’ambito di una eventuale guerra futura contro l’India, sin dal primo giorno di ostilità. La sua dottrina militare lo consente, ha i mezzi per farlo e ha strutturato la catena di comando in modo da realizzare anche nella pratica quel che potrebbe sembrare solo una minaccia: le armi nucleari tattiche pakistane, in caso di guerra, verrebbero assegnate direttamente ai comandi militari sul campo.

Da un punto di vista pakistano, l’uso dell’atomica sin dalle primissime fasi di un conflitto, appare addirittura una scelta razionale. L’India, infatti, rimediando al problema delle lente mobilitazioni del 1999 e del 2001, ha riformato l’esercito e ha cambiato dottrina militare. Benché i suoi vertici lo neghino ufficialmente, le forze armate indiane hanno imparato a mobilitare nel giro di pochi giorni e si stanno addestrando a lanciare attacchi preventivi convenzionali contro il Pakistan. Informalmente questa dottrina viene chiamata “cold start”, una “partenza a freddo”, di punto in bianco. Nel 2008, quando terroristi attaccarono Mumbai e fecero una strage di civili, non ci fu una risposta militare, perché non era chiaro, allora come adesso, un legame diretto fra gli jihadisti autori del massacro e il governo del Pakistan e perché l’esercito aveva appena avviato la sua lunga riforma. Ma c’è da temere che un’eventuale nuova strage di quella portata possa far scattare la reazione militare preventiva. E in quel caso la guerra atomica diverrebbe una possibilità concreta.

Quella fra India e Pakistan è una crisi nucleare ignorata, anche se è sotto gli occhi di tutti. Il politologo americano Frank Hoffman la chiama “il fenicottero rosa”. Contrariamente al “cigno nero”, che simboleggia l’imprevisto assoluto, il “fenicottero rosa” è l’evento prevedibile, ma ignorato. Finché non avviene, ovviamente.

Aggiornato il 28 luglio 2017 alle ore 15:50