Barnier in Italia, diritti cittadini Ue rimane priorità

Michel Barnier è un politico troppo esperto per non ammettere le difficoltà – politiche, economiche e finanziarie – che si stanno creando nel processo che accompagnerà il Regno Unito fuori dall’Unione europea. Alle spalle ha una lunga carriera, consumata perlopiù nei corridoi di Bruxelles, così da non essere nuovo a certe sfide (si ricorderanno, in particolare, le sue battaglie come Commissario europeo per il Mercato Interno e i Servizi).

Scelto nel luglio del 2016 da Jean-Claude Juncker, il negoziatore Barnier, conservatore ed europeista convinto, è a capo della task force della Commissione che seguirà il divorzio degli inglesi dall’Ue. Il suo avversario, David Davis, è il segretario di Stato britannico per l’uscita dall'Unione europea. Tutt’altro tipo. Convinto che la Brexit porterà solo fortuna al Regno Unito e che le difficoltà sono tali perché la Commissione è prigioniera della propria burocrazia, non sembra al momento seguire con attenzione le fasi di negoziazione di questo delicato passaggio.

Nel mezzo a questi estremi di personalità, però, ci sono cittadini europei, imprese e affaristi che ogni giorno, in virtù delle libertà di movimento loro garantite, vivono, lavorano e viaggiano attraversando la Manica.

Resta il fatto che la sicurezza giuridica dei diritti dei cittadini europei nel Regno Unito molto probabilmente dovrà essere garantita in un Trattato. Lo stesso Barnier, in audizione alle Commissioni esteri riunite in Senato nella giornata di ieri, ha confermato questa teoria definendo “La questione dei cittadini non può essere secondaria. Vogliamo inserire il ruolo della Corte di Giustizia in un Trattato per garantire questi diritti e proseguire i colloqui a partire del prossimo round di negoziati”.

Ma il tempo stringe. E l’autunno 2018 (data imposta per la conclusione dei negoziati bilaterali) è sempre più vicino. Nel frattempo la Commissione punta ad un accordo basato sulla fiducia reciproca, nel quale si stabiliranno i rapporti tra le due parti dopo l’uscita, inclusi eventuali accordi commerciali.

Sì, perché a differenza del processo di adesione, il recesso di uno Stato membro non necessita di essere ratificato da parte degli Stati membri. Questo comporterà, quindi, anche ai sensi degli articoli 50 e 218 del Tfue (Trattato sul funzionamento dell’Unione europea), che l’accordo di recesso sarà distinto dall’accordo che definirà le future relazioni tra lo Stato recedente e l’Ue. Ecco la ragione per la quale la situazione deve essere studiata e valutata sotto due aspetti. Il primo, riguarda le procedure (e, quindi, anche le fasi operative) che porteranno l’uscita del Regno Unito dall’Ue, il secondo, i negoziati sul quadro delle future relazioni tra i due attori.

L’atteggiamento positivo, pertanto, è d’obbligo poiché di interessi in gioco ce ne sono tanti, e anche abbastanza importanti. L’Europa si prepara a vivere una stagione di cambiamento politico, economico e sociale da lungo tempo attesa. Le prossime elezioni in Germania, la lenta ripresa economica, e i movimenti ad est dell’Unione, sono solo alcune delle sfide che daranno forma alla nuova Europa. Non facciamoci trovare ancora una volta impreparati.

Aggiornato il 23 settembre 2017 alle ore 09:04