Il popolo iraniano, il regime e gli altri

Tagliamo la testa al toro da subito: gli Stati Uniti d’America e nessun altro Paese può liberare l’Iran e gli iraniani dalla tirannia più complicata della loro lunga storia. L’onore e l’onere di questo spetta al popolo iraniano, e a nessun altro. Il discorso del presidente statunitense Donald Trump, sulla “decertificazione” dell'Accordo sul nucleare con l’Iran (Jcpoa), però, ora una volta per tutte ha chiamato le cose con il loro nome.

Di fronte a una politica confusa, apparentemente pacifista, della precedente Amministrazione che aveva collocato il regime retrogrado dei mullà al centro della sua politica mediorientale, alimentando così la destabilizzazione della Regione, Trump ora, al regime chiede il conto. Ha elencato alcuni degli atti terroristici che dagli anni Ottanta sono stati compiuti dal regime iraniano a Beirut, a Khobar, in Kenya e in Tanzania. In verità l’elenco del terrorismo del regime sarebbe molto più lungo. Ha compreso, il nuovo inquilino della Casa Bianca che, se non si mette un freno alle aggressioni dei Pasdaran in Medio Oriente, è aleatorio pensare di arginare le crisi in questa martoriata terra. Basti pensare solo alla presenza dei Pasdaran nel Kurdistan di questi ultimi giorni e alla loro presenza massiccia e al loro ruolo micidiale dall’Afghanistan all’Iraq, dalla Siria al Libano e nello Yemen. Il succo del discorso di Donald Trump delinea una strategia per il cambio di regime in Iran. Questo, intanto, corrisponde al desiderio del popolo iraniano e, a ben vedere, è la soluzione meno onerosa del problema dell’Iran e del Medio Oriente. Il presidente statunitense per la prima volta ha distinto gli iraniani dal regime teocratico che li opprime; questo non è poco. Il più potente Paese del mondo s’è messo dalla parte di un popolo che si batte per la libertà, almeno a parole. S’è liberato, l’inquino della Casa Bianca, dell’imbarazzante balbettio di accumunare un regime reazionario con la popolazione da questo oppressa. Ora deve riconoscere la lotta degli iraniani per la democrazia del loro Paese e la loro resistenza organizzata.

Nel merito, l'Accordo sul nucleare con l’Iran è pieno di falle e fa acqua da tutte le parti. Oltre ad aver garantito fiumi di miliardi riversati nelle tasche di un regime corrotto e principale sponsor del terrorismo internazionale, non ha chiuso in maniera definitiva la possibilità per il regime di produrre le armi nucleari. I numerosi test di missili balistici, del resto in contrasto con la Risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’Onu n. 2231 del 2015, suscitano inquietudine e mettono in evidenza che la teocrazia al potere in Iran genera crisi, funzionali alla sua esistenza e che escludono ogni sorta di riformismo. La favola di dividere la dittatura teocratica al potere in Iran in buoni e cattivi pare che non funzioni più. Evocare la pagella nera degli interventi dell’America, tra cui il golpe del ’53 contro il governo popolare di Mossadeg, non certo spetta al presidente del regime iraniano, visto che i mullà iraniani furono tra gli avversari acerrimi del governo laico di Mossadeg e compiaciuti del golpe. In questo momento storico nessun altro è così avverso alle istanze democratiche del popolo iraniano come l’attuale regime.

La politica estera dell’Unione europea che si materializza nell’appeasement nei confronti del regime liberticida iraniano è ben visibile nell’immagine del capo velato della sua Alta Rappresentante che, in dispregio di milioni di donne iraniane, accorre frequentatamene alla corte degli oppressori del popolo iraniano. La questione iraniana e la lotta degli iraniani per la democrazia non possono essere più rinviate e oscurate dall’alibi di parlare del cattivo Trump o della situazione dei Diritti umani in Arabia Saudita. Questo sciocco ritornello è un’arma arrugginita nelle mani di chi, per affari e per condiscendenza, prende senza pudore e giustificazione alcuna la parte dei carnefici del popolo iraniano. L’Occidente deve smettere di sacrificare i suoi principi sull’altare della peggiore dittatura del nostro tempo.

A tutta risposta al discorso insolito del presidente statunitense le autorità del regime iraniano hanno fornito le solite risposte: una miscela di suppliche celate e generiche minacce globali. La rabbia del regime iraniano questa volta sembra l’abbaiare di un cane che non morde perché è sdentato. Il regime è intrappolato tra la rabbia reale e crescente degli iraniani e la fine della becera politica d’appeasement incarnata da Barack Obama. Una vera pace e stabilità passa attraverso la democrazia in Iran, e ciò significa un cambio di regime, che spetta ai figli dell’Iran attuare. Ad altri, se non vogliono sostenerlo, tocca solo non ostacolare.

Aggiornato il 21 ottobre 2017 alle ore 08:32