La crisi migratoria ha stravolto l’Europa

venerdì 17 novembre 2017


Alcune settimane dopo che la Germania aveva aperto le proprie frontiere a milioni di profughi provenienti dal Medio Oriente, dall’Africa e dall’Asia, il premier ungherese Viktor Orbán aveva detto che la crisi migratoria “destabilizzerebbe le democrazie“. È stato etichettato come demagogo e xenofobo. Come commenta Politico, “la maggior parte dei leader dell’Ue riecheggia il primo ministro ungherese”, e Orbán può ora affermare che “la nostra posizione sta lentamente diventando la posizione di maggioranza”.

Molti in Europa sembrano aver compreso ciò che Ivan Kratsev, direttore del Center for Liberal Strategies di Sofia e membro dell’Istituto di scienze umane di Vienna, ha di recente spiegato a Le Figaro: “La crisi migratoria è l’11 settembre dell’Unione Europea (...) Quel giorno del 2001, tutto è cambiato negli Stati Uniti. In un attimo, l’America ha scoperto la propria vulnerabilità. I migranti producono lo stesso effetto in Europa. Non è il loro numero che destabilizza il continente. (...) La crisi migratoria mette profondamente in discussione le idee di democrazia, tolleranza e (...) i principi liberali che costituiscono il nostro panorama ideologico. È un punto di svolta nella dinamica politica del progetto europeo”.

Ad esempio, la migrazione ha un impatto significativo sulle finanze pubbliche europee. Si pensi ai due Paesi che ne sono maggiormente colpiti. Il governo federale tedesco ha speso 21,7 miliardi di euro nel 2016 per gestire il problema. È stato inoltre detto che il bilancio per le misure di sicurezza della Germania quest’anno aumenterà di almeno un terzo, passando da 6,1 miliardi a 8,3 miliardi di euro.

In Italia, il ministro dell’Economia e delle Finanze ha di recente annunciato che il Paese spenderà 4,2 miliardi di euro nel 2017 per la gestione dei flussi migratori (un settimo del bilancio dello Stato italiano per il 2016). La Spagna ha recentemente dichiarato che in Nord Africa, la recinzione perimetrale che circonda le enclave di Ceuta e Melilla per tenere i migranti lontano dal territorio spagnolo sarà rinforzata grazie a un ulteriore stanziamento di 12 milioni di euro. Ovunque in Europa, gli Stati destinano risorse aggiuntive per fronteggiare la crisi migratoria che ha cambiato anche lo scenario politico dell’Europa.

Le recenti vittorie elettorali di Sebastian Kurz in Austria e di Andrej Babis nella Repubblica Ceca hanno potenzialmente allargato il gruppo dei Paesi dell’Europa centrale e orientale che si oppongono a Bruxelles – Paesi che non vogliono accogliere le quote di migranti stabilite dall’Ue. Il tema dell’immigrazione sta spaccando l’Europa a livello ideologico. Non solo barriere, ma anche rivalità, diffidenza e odio ora dividono il progetto europeo più profondamente che mai. I cittadini europei guardano ormai con disprezzo le istituzioni dell’Ue. Ritengono che esse siano – a causa della politica multiculturalista e migratoria – non soltanto indifferenti ai loro problemi, quanto piuttosto un problema supplementare.

Un altro terremoto politico legato alla crisi migratoria è “il declino della democrazia sociale in Occidente”, come di recente lo ha definito Josef Joffe, direttore ed editore di Die Zeit. Ovunque in Europa, la crisi migratoria ha pressoché affossato i partiti socialdemocratici quasi dappertutto – Spagna, Gran Bretagna, Germania, ad esempio – ma ora sono all’opposizione quasi ovunque. La maggioranza dell’Europa è guidata da governi conservatori.

Più della metà degli attacchi terroristici in Germania dall’inizio della crisi migratoria nel 2014 ha coinvolto i migranti, secondo i titoli dei giornali e uno studio dell’Heritage Foundation. Inoltre, da quando lo Stato islamico – ora sconfitto a Raqqa – ha approfittato della destabilizzazione causata dalla guerra civile della Siria per diventare un importante motore della crisi migratoria, la migrazione è motivo di notevole preoccupazione per la sicurezza dell’Europa. Dal territorio che è stato conquistato, l’Isis ha lanciato grossi attacchi terroristici in Europa.

La crisi migratoria ha inoltre portato al rafforzamento strategico in Europa del presidente turco Recep Tayyip Erdogan che ricatta i Paesi europei, minacciando che se non gli saranno elargiti miliardi di euro e fatte certe concessioni politiche aprirà le frontiere turche per lasciare entrare milioni di migranti in Europa. Erdogan non ha soltanto chiesto all’Europa di arrestare scrittori e giornalisti, ha anche cercato di influenzare le elezioni nei Paesi Bassi e in Germania facendo appello ai suoi elettori turchi.

Un report del Pew Research mostra come l’immigrazione stia ridisegnando i Paesi europei. Soltanto nel 2016, la popolazione svedese è cresciuta di oltre l’uno per cento. Un aumento che è dovuto all’immigrazione di massa, la più elevata in seno all’Ue dopo la Germania. Il numero dei migranti è passato dal 16,8 per cento al 18,3 per cento della popolazione svedese tra il 2015 e il 2016.

Austria e Norvegia, gli altri due Paesi con massiccia presenza di immigrati (almeno il 15 per cento nel 2016), hanno visto un aumento dell’1 per cento dal 2015. Il quotidiano Die Welt ha recentemente riportato che 18,6 milioni di residenti tedeschi – un quinto della popolazione complessiva della Germania – provengono da contesti migratori. In Italia, il Centro Studi Politici e Strategici Machiavelli ha rivelato in un dossier, “Come l’immigrazione sta cambiando la demografia italiana”, che a causa della crisi migratoria è in corso un cambiamento “senza precedenti” nella demografia dell’Italia.

È stato aperto il vaso di Pandora di una rivoluzione demografica. Due anni fa, il premier ungherese Viktor Orbán era l’unica voce in Europa a parlare della necessità di mantenere l’Europa “cristiana”. Ora uno dei suoi oppositori più accaniti, Donald Tusk, presidente del Consiglio, ha dichiarato: “Siamo una comunità culturale, il che non significa che siamo migliori o peggiori – siamo semplicemente diversi dal mondo esterno (...) la nostra apertura e tolleranza non significano che noi rinunceremo a proteggere il nostro patrimonio”.

Nel 2015, qualsiasi discorso sulla “cultura” era condannato come “razzismo”. Ora fa parte del mainstream. Nel tentativo di fronteggiare la guerra degli islamisti contro la politica, la cultura e la religione dei Paesi occidentali, e il conflitto culturale che essi hanno creato, l’Europa è stata stravolta.

(*) Gatestone Institute

(**) Nella foto: Migliaia di migranti arrivano a piedi, il 17 settembre 2015, in una stazione ferroviaria a Tovarnik, in Croazia (foto di Jeff J. Mitchell/Getty Images).


di Giulio Meotti (*)