La politica di apartheid araba colpisce i palestinesi

mercoledì 3 gennaio 2018


L’Iraq si è appena unito alla lunga lista dei Paesi arabi che praticano vergognosamente l’apartheid nei confronti dei palestinesi. È disarmante il numero dei Paesi arabi che applicano misure discriminatorie contro i palestinesi pur fingendo di appoggiare la causa palestinese. L’ipocrisia araba è di nuovo in bella mostra, ma chi ci fa caso?

I media internazionali – e anche i palestinesi – sono talmente preoccupati dell’annuncio del presidente americano Donald Trump su Gerusalemme che il dramma dei palestinesi che vivono nei Paesi arabi è una notizia che li lascia del tutto indifferenti. Questa apatia consente ai governi arabi di continuare con le loro politiche anti-palestinesi, perché sanno che non gliene importa niente a nessuno della comunità internazionale – le Nazioni Unite sono troppo impegnate a condannare Israele per pensare ad altro.

Allora, cosa è accaduto ai palestinesi in Iraq? La settimana scorsa si è appreso che il governo iracheno ha approvato una nuova legge che abolisce i diritti riconosciuti ai palestinesi residenti nel Paese. Il nuovo atto normativo cambia lo status dei palestinesi da cittadini a stranieri. Sotto Saddam Hussein, l’ex dittatore iracheno, i palestinesi godevano di molti privilegi. Fino al 2003, c’erano circa 40mila palestinesi in Iraq. Dopo la caduta del regime di Saddam, la popolazione palestinese si è ridotta a 7mila persone. Migliaia di palestinesi hanno lasciato l’Iraq dopo essere stati presi di mira da parte delle varie milizie in lotta, a causa dell’appoggio da loro offerto a Saddam Hussein. I palestinesi dicono che ciò a cui devono far fronte in Iraq è una “pulizia etnica”.

Le condizioni dei palestinesi in Iraq sono peggiorate. La nuova legge, che è stata ratificata dal presidente iracheno Fuad Masum, priva i palestinesi che vivono nel Paese del loro diritto all’istruzione gratuita, all’assistenza sanitaria e ai documenti di viaggio, e nega loro la possibilità di lavorare in seno alle istituzioni statali. Il nuovo atto normativo – n. 76 del 2017 – revoca i diritti e i privilegi garantiti ai palestinesi sotto Saddam Hussein. La legge è entrata in vigore di recente dopo essere stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale irachena n. 4466.

“Anziché proteggere i profughi palestinesi dalle violazioni quotidiane e migliorare le loro condizioni di vita e umanitarie, il governo iracheno prende decisioni che avranno un impatto catastrofico sulle vite di questi rifugiati”, si legge in un comunicato stampa dell’Euro-Mediterranean Human Rights Monitor. “Le ricorrenti vessazioni e restrizioni inflitte ai profughi palestinesi negli ultimi anni hanno costretto la maggior parte di loro a rivolgersi di nuovo ad altri Paesi come il Canada, il Cile, il Brasile e altre nazioni europee. A causa di queste violazioni, soltanto circa 7mila palestinesi su 40mila ora risiedono in Iraq. È una vergona alla quale si dovrebbe porre fine”.

La legge afferma che i palestinesi preferiscono vivere in Canada o in Brasile oppure in qualsiasi altro Paese europeo piuttosto che in un Paese arabo. Lì, vengono loro riconosciuti più diritti rispetto a quelli di cui godono nei Paese arabi. Almeno, nei Paesi che non sono arabi possono acquistare beni immobili e godere delle prestazioni sanitarie e sociali. I palestinesi possono perfino richiedere la cittadinanza nei Paesi non arabi e la ottengono. Ma ciò non è possibile in nazioni come l’Iraq, l’Egitto, il Libano, la Tunisia, l’Arabia Saudita e il Kuwait. È più facile per un palestinese ottenere la cittadinanza canadese o americana piuttosto che ottenerne una di un Paese arabo.

In una nota della massima ironia, la Lega Araba consiglia ai suoi membri di non concedere la cittadinanza ai palestinesi. La scusa? Concedendo ai palestinesi la cittadinanza dei Paesi arabi, gli si negherebbe il “diritto al ritorno” alle loro vecchie case in Israele. Quindi i Paesi arabi vogliono che i palestinesi rimangano per sempre dei profughi mentendo a loro e dicendogli che un giorno faranno ritorno ai loro vecchi villaggi e città (molti dei quali non esistono più) dentro Israele.

Si prenda, ad esempio, il caso di Amal Saker, una donna palestinese che nel 1976 si è trasferita con la sua famiglia in Iraq. Sebbene sia sposata con un cittadino iracheno e i suoi figli abbiano la cittadinanza irachena, Amal non ha ottenuto la cittadinanza irachena. La donna dice che la nuova legge ora le impedirà di avere i documenti di viaggio necessari per recarsi a trovare i suoi parenti all’estero. Amal e molti palestinesi sono convinti che la tempistica del nuovo atto normativo – che coincide con l’annuncio di Trump su Gerusalemme – non sia casuale. Essi credono che la nuova legge irachena faccia parte della presunta “soluzione definitiva” di Trump per il conflitto arabo-israeliano, che a loro avviso è volta a “liquidare” la causa palestinese e privare i palestinesi del “diritto al ritorno”.

In altre parole, i palestinesi stanno promuovendo una teoria del complotto secondo cui alcuni Paesi arabi come l’Iraq, l’Arabia Saudita e l’Egitto, cospirano con l’amministrazione Trump per imporre una soluzione che è assolutamente inaccettabile e perfino dannosa per i palestinesi. I palestinesi sono “inorriditi” dalla nuova legge irachena e qualcuno ha iniziato a condurre una campagna che eserciti pressioni sul governo iracheno affinché faccia marcia indietro. Ma i palestinesi sono anche consapevoli che non vinceranno questa campagna, perché non otterranno la solidarietà della comunità internazionale. Per quale motivo? Perché il Paese che ha approvato questa legge dell’apartheid è l’Iraq e non Israele. Jawad Obeidat, presidente dell’Ordine degli Avvocati palestinese, ha spiegato che la nuova legge irachena avrà “gravi ripercussioni” sulle condizioni e sul futuro dei palestinesi che vivono in Iraq. “I palestinesi saranno ora privati della maggior parte dei loro diritti fondamentali”, ha dichiarato Obeidat. E ha aggiunto che gli avvocati palestinesi lavoreranno con i loro colleghi iracheni per fare pressioni sul governo iracheno affinché esso provveda ad abrogare la nuova legge. Obeidat ha esortato la Lega Araba a intervenire con le autorità irachene per abrogare l’atto normativo e porre fine alla “ingiustizia” nei confronti dei palestinesi in Iraq.

“La legge irachena è inaccettabile e disumana”, ha dichiarato Tayseer Khaled, un alto funzionario dell’Olp, il quale ha precisato che le autorità irachene non sono riuscite a offrire protezione ai palestinesi residenti in Iraq e che questo è il motivo per cui essi sono diventati facili prede per le milizie che hanno indotto molti di loro a lasciare il Paese negli ultimi quindici anni. Khaled ha rilevato che numerose famiglie palestinesi sono state costrette a vivere in campi profughi provvisori e di fortuna situati lungo i confini della Siria e della Giordania, dopo essere state cacciate dalle loro case. “Chiediamo alle autorità irachene di trattare i palestinesi con umanità”, egli ha detto.

Tuttavia, i leader iracheni possono permettersi di sedersi comodamente e rilassarsi dinanzi agli appelli e alle condanne palestinesi. Nessuno presterà attenzione alle sofferenze dei palestinesi in nessun Paese arabo. I principali organi di informazione di tutto il mondo si occupano a malapena della controversa legge irachena o del trasferimento di migliaia di famiglie palestinesi in Iraq. I giornalisti sono troppo occupati a correre dietro a un manipolo di “lancia-sassi” palestinesi nei pressi di Ramallah. Una ragazza palestinese che ha alzato il pugno contro un soldato israeliano suscita più interesse mediatico della politica di apartheid praticata dai governi arabi nei confronti dei palestinesi. Una protesta di 35 palestinesi nella Città Vecchia di Gerusalemme contro Trump e Israele attira più fotografi e reporter rispetto a una notizia sull’endemica politica di apartheid araba e sulle discriminazioni nei confronti dei palestinesi. L’ipocrisia dei Paesi arabi è giunta al culmine. Mentre fingono di essere solidali con i loro fratelli palestinesi, i governi arabi lavorano senza sosta per sottoporli alla pulizia etnica. Intanto, ai leader palestinesi non importa nulla della difficile situazione in cui versa la loro popolazione nei Paesi arabi. Sono troppo impegnati a incitare i palestinesi contro Israele e Trump per dare peso a una questione così irrisoria.

(*) Gatestone Institute

(**) Nella foto: il presidente iracheno Fuad Masum (a destra) con il presidente dell’Autorità palestinese Mahmoud Abbas (a sinistra), il 30 novembre 2015 (fonte dell’immagine: video screenshot, Ufficio di Mahmoud Abbas).

Traduzione a cura di Angelita La Spada


di Khaled Abu Toameh (*)