I soldati italiani in Niger

martedì 9 gennaio 2018


Bisogna ormai iniziare a familiarizzarsi con la geografia subsahariana. Il Sahel è la fascia di territorio dell'Africa sub-sahariana che si estende tra il deserto del Sahara a nord e, a sud, la savana del Sudan; e tra l'Oceano Atlantico a ovest e il Mar Rosso a est. Nel Sahel il jihadismo islamista, (specie con i terroristi di Boko Haram) si è già ben installato, soprattutto nelle aree di frontiera tra Niger, Libia e Algeria (a Ovest) e Niger, Libia e Ciad (a Est), assorbendo gli altri terroristi più vicini ad al Qaeda e i reduci delle battaglie pro Isis. Ha sapientemente sfruttato la frammentazione della Libia per rafforzarsi e diventare sempre più insidioso.

Macron ha preso l’iniziativa di costituire il cosiddetto Gruppo dei Cinque paesi (G5) a cavallo della regione del Sahel, comprendente Mali, Niger, Burkina Faso, Ciad e Mauritania; tutte ex colonie francesi. I leader del G5 sono stati ospitati da Macron in un castello vicino a Parigi, a La Celle-Saint-Cloud, il 13 dicembre scorso. Erano presenti anche il cancelliere tedesco Angela Merkel e il premier italiano Paolo Gentiloni. Ben sapendo che questi paesi africani non sarebbero mai stati in grado di finanziare le operazioni, il presidente francese ha abilmente coinvolto i sauditi (100 milioni di dollari) e gli Emirati (30 milioni di dollari) nel finanziamento delle operazioni. Altri donatori del G5 sono l’Ue e gli Stati Uniti, ognuno impegnato a stanziare 60 milioni di dollari.

Il progetto di Emmanuel Macron potrebbe, però, trasformarsi in un paradosso. I regimi sunniti arabi del Golfo - è risaputo - hanno sponsorizzato il terrorismo in tutto il Medio Oriente ed anche in Africa (Somalia e Sudan): è allora un controsenso o no, proporre che questi stessi regimi possano sostenere operazioni “anti-terrorismo” nel Sahel?  Non dimentichiamo che questi sono gli stessi paesi che, pur facendo parte della “coalizione anti Isis” in Medio Oriente, hanno passato finanziamenti ed armi sottobanco ai terroristi. Si potrebbe ripetere il doppio gioco anche nel Sahel?

L’Italia ritirerà una parte dei soldati attualmente schierati in Iraq e invierà un contingente nel Niger, allo scopo di combattere il traffico dei migranti diretto in Libia e verso il Mediterraneo e di addestrare l’esercito nigerino contro i terroristi.  Dopo le indiscrezioni dei mesi scorsi è pronto il piano italiano di intervento. Il capo del governo ha scelto la vigilia di Natale per formalizzare l’annuncio. Gentiloni ha dichiarato: “Proporrò al Parlamento di inviare i nostri militari in Niger. L’Italia ha l’obiettivo di costruire dialogo, amicizia e pace nel Mediterraneo e nel mondo. Il 2017 è stato l’anno della sconfitta militare del Daesh, che non controlla più un territorio come Stato”.

Questo invio di soldati italiani è anche la conseguenza dell’accordo firmato nel maggio scorso con Libia, Ciad e Niger per il controllo dei flussi migratori e la relativa costruzione di centri di accoglienza per i migranti che transitano per quei Paesi e così interrompere il nefasto ciclo partenze-sfruttamento-sbarchi. E il Niger, senza dubbio, rappresenta lo snodo decisivo.

È previsto, quindi, un alleggerimento dei contingenti italiani in Afghanistan e Iraq e spostarne una parte nel Niger. Il primo contingente italiano dovrà presidiare l’avamposto Madama (che ospita già 250 militari francesi e un centinaio di soldati nigerini), a poca distanza dalla frontiera libica (sarà rifornito quasi esclusivamente dal cielo): il confine tra Niger e Libia passa in mezzo al deserto ed è attraversato da numerose piste utilizzate dai trafficanti di migranti; le piste di oggi sono gli stessi antichi percorsi delle carovane del sale. Dicevano un tempo che “quando c'è gente che cammina ci sono soldi che si muovono”. Le tribù del deserto gestiscono il business del traffico di esseri umani e, avendo così tanti soldi, hanno anche, di fatto, un ruolo politico.  L’operazione Madama richiederà un grande sforzo logistico a un’Italia che ha limitati trasporti aerei strategici.

Contemporaneamente al presidio dell’avamposto Madama, l’Italia dovrà costituire una propria base nella capitale del paese, Niamey, per l’addestramento delle truppe nigerine.  All'inizio il contingente italiano opererà con i francesi, in una zona dove sono attivi miliziani e contrabbandieri. In Niger sono già installati gruppi di forze speciali Usa (lo scorso ottobre quattro di loro sono stati uccisi in un agguato): sono circa un migliaio e si trovano stanziati soprattutto nella base di Agadez.  Da lì gestiscono i droni che si muovono su Niger e il resto del Sahel, dove agiscono gli estremisti di Boko Haram. La Francia, ha un forte ruolo, trattandosi di un’antica colonia, ed è presente con 4mila uomini, che già costituiscono l’operazione Barkhane. Inoltre vi sono vari contingenti africani di peacekeeping, nonché truppe tedesche. I tedeschi hanno una presenza maggiore in Mali, ma per la logistica si appoggiano all’aeroporto di Niamey, capitale del Niger. Probabilmente si aggiungeranno anche contingenti belgi e spagnoli.  Francia e Germania si muovono già in coordinamento con gli Stati Uniti. Preoccupa particolarmente il recente annuncio della fusione, nel Maghreb islamico, sotto l’unica bandiera di Al Qaeda, di tre gruppi jihadisti: Ansar Eddine, Katiba Macina e al Murabitun.

Macron avrebbe voluto annunciare il sostegno di tutta l’Unione europea, ma parecchi paesi europei si sono tirati indietro e l’obiettivo finale non è stato raggiunto. Anche se nella “Relazione della Commissione europea al Parlamento europeo e al Consiglio” del 13 novembre 2017 vi era scritto che “particolare attenzione è stata rivolta alle emergenze complesse nel Sahel” e nelle conclusioni del Consiglio europeo del 19 e 20 ottobre 2017  si era affermato di voler “sostenere l'azione dei nostri partner del G5 Sahel; ed “incoraggia e invita a sostenere, anche finanziariamente, gli sforzi profusi (...) nel Sahel”.

Anche l’Onu dovrebbe giocare un ruolo più decisivo, essendo, in qualche modo, già presente là dove si costituiscono questi campi, impegnandosi anche finanziariamente per far sì che siano meglio organizzati. Ma l’Onu, in queste problematiche, è un pachiderma che si muove molto lentamente. Certamente il nostro contributo per sconfiggervi il terrorismo non sarà determinante. Ma l’invio di soldati italiani, tuttavia, è una buona mossa dell’Italia per combattere il traffico dei migranti; dell’Italia, cioè. che già si prende carico di quasi tutti i migranti che arrivano via mare, e che è un punto di riferimento in Libia, grazie all’ospedale militare vicino a Sirte e al continuo dialogo diplomatico delle nostre autorità governative con Haftar e al-Sarraj. D’altronde è opportuno scoraggiare i flussi emigratori, il più lontano possibile dalla costa, perché una volta che questa povera gente è arrivata sulle coste del Mediterraneo viene presa dai libici e costretta in campi non adeguati al rispetto dei diritti umani e con un futuro incerto. È bene, quindi, che si sappia, che a Sud del Sahara, c’è un filtro che blocca i flussi verso la costa mediterranea. Non dimentichiamo che gli africani, nel giro di trent’anni, da 900 milioni diverranno quasi 2 miliardi. È in questi cinque Paesi dell’Africa sub-sahariana che si ha l’età media più bassa nel mondo con 15,4 anni, mentre in Italia l’età media è di 45 anni. La differenza è significativa.  Se questi giovani non avranno prospettive, la pressione sull’Europa non potrà che aumentare.

L’invio di soldati italiani in Niger ha provocato alcune critiche. Esaminiamo questi aspetti negativi. Primo: quest’operazione ha ricevuto delle critiche perché il governo del Niger è considerato particolarmente corrotto e inefficiente e le sue forze militari sono state spesso accusate di chiudere un occhio sul traffico di migranti.  Purtroppo non è una caratteristica esclusiva del Niger, e se si vuol operare nel Niger, non si può non avere contatti con l’amministrazione locale: bisognerà, però, porre particolare attenzione a non “sporcarsi le mani”. 

Secondo: noi italiani saremmo là “a proteggere l’uranio francese”. In Niger, infatti, c’è l’uranio destinato al nucleare e nel Niger, quinto produttore di uranio al mondo, c’è Areva che possiede due miniere a Arlit, dove impiega 1.600 persone: è una multinazionale francese a proprietà pubblica (più del 90 per cento del capitale azionario), per cui è in mano francese lo sfruttamento e l’export dell’uranio del Niger.  Ed è proprio quest’uranio che permette alla Francia di essere la principale produttrice di energia in Europa. Parigi, quindi, interverrebbe per tutelare gli interessi francesi (minerari e finanziari), mentre noi italiani, aiuteremmo i francesi nel raggiungere i loro obiettivi; in una parola saremmo subalterni alla politica perseguita da Parigi. 

Certo, il presidente francese, Emmanuel Macron, è stato il promotore del progetto Sahel.  Egli ha affermato che “il terrorismo e il traffico di esseri umani sono parte dello stesso problema, che richiede lo spiegamento di una forza militare diffusa in tutta l’Africa”.  Ma anche l’obiettivo della Ue è quello di fermare la migrazione clandestina, pur se l’opinione pubblica di alcuni paesi europei si rivolta contro le politiche migratorie imposte dalla Ue, come sta avvenendo in l’Austria, in Polonia ed in altri paesi dell’Europa dell’Est. E gli italiani, in realtà, recandosi in Niger, non opereranno da soli, né soltanto con i francesi, ma vanno ad aggiungersi a un apparato internazionale che è già dispiegato nei paesi del cosiddetto Sahel G5.

La risposta di Gentiloni sul coinvolgimento delle truppe italiane in Niger, è stata molto chiara: “Noi tuteliamo il nostro interesse nazionale e lo facciamo sempre in amicizia con gli altri Paesi, mai in contrapposizione... Abbiamo svolto un ruolo fondamentale nella battaglia contro il terrorismo, lo abbiamo fatto per solidarietà internazionale e lo abbiamo fatto e lo facciamo per difendere il nostro interesse nazionale”. È necessario, però, che al ruolo militare in Niger, deve corrispondere un nostro ruolo politico. Se è pur vero che al nostro contributo militare minore nel Sahel, non può che corrispondere un ruolo politico minore, tuttavia sarebbe impensabile che il presidente francese possa gestire il tutto in esclusiva, senza alcuna consultazione.  Permane, tuttavia, il timore che possano confrontarsi interessi ed egemonie, specie se si tiene presente che i francesi sono stati i principali competitor dell’Italia in Libia.

L’Italia ha appena inaugurato la nuova ambasciata di Niamey, la prima in un Paese del Sahel. Per l’Italia l’apertura di questa sede diplomatica è un segno di maggior impegno dal punto di vista geopolitico. Un impegno diretto, soprattutto, per presidiare la rotta chiave dei migranti che si dirigono verso le coste del Mediterraneo. Ma l’effettivo ruolo che l’Italia vi svolgerà, dipenderà soprattutto dalle determinazione del prossimo Governo.


di Pietro Fontana