Risvegliare l’Europa: dov’è la diplomazia della verità?

martedì 6 febbraio 2018


Da esperta di terrorismo globale, di antisemitismo, di guerre mediorientali e di politica europea, Fiamma Nirenstein ha seguito con particolare interesse le proteste popolari in Iran. La Nirenstein – giornalista pluripremiata, autrice di best-seller, ex parlamentare italiana e fellow del Jcpa – sostiene che, proprio come l’elezione dell’ex presidente americano Ronald Reagan e la politica estera furono strumentali nel crollo dell’Unione Sovietica nel 1991, il presidente Donald Trump è probabilmente responsabile delle proteste di piazza che si sono svolte in tutto l’Iran e che potrebbero portare alla caduta della Repubblica islamica guidata dagli ayatollah.

Secondo quanto affermato dalla giornalista e scrittrice italiana, l’Europa – che non si è pronunciata sulle proteste in Iran – non può prendersi più merito per questa svolta positiva degli eventi di quanto potrebbe prendersene per la sconfitta dell’Urss o anche del Terzo Reich di Hitler. È l’America, precisa la Nirenstein, che è sempre stata in prima linea nella lotta per l’affrancamento dalla schiavitù dei dittatori; è l’America che salva sempre l’Europa.

Gatestone: Perché non è il contrario? L’Europa, dopotutto, è più vicina a queste lotte rispetto all’America.

Fiamma Nirenstein: L’approccio chiave dell’Europa è sempre stato quello dell’appeasement, perché quando si è deboli, si cerca di non interferire troppo, di non dire ciò che si pensa. Nel profondo del suo cuore, l’Europa probabilmente avrebbe voluto fermare Hitler sin dall’inizio e assistere al crollo dell’Unione Sovietica prima, ma non ha avuto il coraggio di esprimere queste opinioni a voce alta o di manifestarle con sufficiente determinazione. Lo stesso dicasi per l’Iran oggi.

Gatestone: Ma l’Europa non ha espresso in modo chiaro e deciso la propria avversione per il fascismo? E l’America non ha mostrato ciò che si chiama “debolezza”?

FN: L’Europa è divisa. È stata tanto fascista quanto comunista e ha anche combattuto contro il fascismo e contro il comunismo – non con sufficiente tempestività. Potrebbe, pertanto, soffrire di sensi di colpa e sentire il peso dell’umiliazione legati al proprio passato. Anche gli Stati Uniti sembrano sentirsi in colpa e umiliati per il razzismo perpetrato nel corso della propria storia. Ma c’è una differenza tra l’Europa e l’America: come avviene per gli individui, anche le nazioni devono confrontarsi e fare i conti con i propri sentimenti. Quando una persona fa questo, diventa adulta. Si potrebbe dire che se l’America è maturata e diventata adulta, l’Europa non lo ha mai fatto.

Gatestone: L’Europa non è cambiata radicalmente negli ultimi decenni?

FN: Solo a livello formale. Prendiamo l’esempio del presidente francese Emmanuel Macron. Tutti pensavano che sarebbe stato il nuovo leader dell’Europa. È stato il candidato che ha sconfitto l’estrema destra in Francia, sotto la bandiera dell’Unione europea. Tutti pensavano che la sua presidenza segnalasse la rinascita dell’Ue sotto questo giovanissimo e fortissimo leader molto occidentale – non antiamericano né anti-israeliano.

Ma guardate cosa è successo dopo la sua elezione. Dinanzi alle realtà globali, tra cui l’imperialismo iraniano e la corsa alle armi nucleari, Macron non solo non è riuscito a realizzare questo sogno, ma il massimo che è stato in grado di fare è stato quello di rappresentare l’eredità della solita vecchia Europa che è sempre stata.

Se Washington, Gerusalemme e Riad hanno reagito positivamente alle proteste iraniane contro il regime, Macron ha dichiarato: “La linea ufficiale perseguita dagli Stati Uniti, da Israele e dall’Arabia Saudita, che sono nostri alleati in molti modi, è praticamente quella che ci porterebbe alla guerra”. Mentre l’ambasciatore francese alle Nazioni Unite François Delattre ha asserito in modo vergognoso durante una riunione del Consiglio di Sicurezza che quanto stava accadendo in Iran “non costituisce una minaccia alla pace e alla sicurezza internazionale” e pertanto la crisi non andrebbe “sfruttata a fini personali”.

Macron ha invocato la solita vecchia politica fallimentare dell’appeasement, che è quella di mantenere “un dialogo permanente” aperto con l’Iran, in modo da non correre il rischio di innescare un “conflitto di estrema brutalità” e “ricostruire un asse del male”.

Ciò implica che coloro che si oppongono agli ayatollah possono scatenare una guerra. Questo è inaudito. È Teheran che diffonde il terrorismo, che sta sviluppando il proprio potenziale nucleare e sta fomentando guerre in tutto il mondo. È Teheran che ha causato l’immenso numero di rifugiati provenienti da Paesi sunniti o semi-sunniti – come l’Iraq, lo Yemen, il Libano, la Siria e altri luoghi – che sono fuggiti in Europa per scappare dagli sciiti i quali cercano di impadronirsi dei loro Paesi.

È del tutto falso che l’Europa non ha alcun interesse in questa situazione; è sorprendente quanto sia terrorizzata dalla coraggiosa rivoluzione che sta avvenendo in Iran contro questo repressivo regime islamista. In teoria, una crisi del genere per il regime di Teheran dovrebbe appagare l’Europa, la quale potrebbe anche beneficiare di una riduzione dell’immigrazione. Inoltre, l’Europa si vanta di favorire la tutela dei diritti umani e civili, mentre l’Iran è un Paese in cui le donne vengono lapidate, gli omosessuali vengono impiccati e i dissidenti vengono imprigionati, torturati e giustiziati.

Nel 1959, l’Europa istituì un intero tribunale a Strasburgo per la tutela dei diritti umani. L’Europa dovrebbe essere molto felice delle proteste popolari contro il regime iraniano. Ma non sembra che lo sia.

Al contrario, Federica Mogherini, l’Alto rappresentante dell’Unione europea per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, ha usato tanto il linguaggio dell’appeasement quanto quello della falsa equivalenza morale nella sua dichiarazione alla stampa sulle proteste, dicendo: “Siamo stati in contatto con le autorità iraniane. Nello spirito di apertura e rispetto che è alla base delle nostre relazioni auspichiamo che tutte le parti in causa evitino la violenza”.

Gatestone: Se l’Europa non ha alcun interesse a consentire l’imperialismo sciita sostenuto dall’Iran, poiché è causa della migrazione dei profughi sunniti, allora perché la cancelliera tedesca Angela Merkel fronteggia i flussi di migranti e di richiedenti asilo in arrivo incoraggiando la politica del “wir schaffen das” – “Ce la possiamo fare” – una frase da lei pronunciata nel 2015 e che la Merkel ha deciso di non utilizzare più a causa della raffiche di critiche che ha generato?

FN: La Germania probabilmente ha più sensi di colpa di qualsiasi altro Paese dell’Ue, e a ragione, a causa della responsabilità avuta nella perpetrazione del peggior massacro della storia dell’uomo. Non è un caso che lo slogan della Merkel ricordi il motto “Yes, we can” (“Sì, possiamo”), reso famoso dall’ex presidente americano Barack Obama nel 2008, perché Obama non assomigliava soltanto a un leader europeo, ma ha anche spinto l’Europa ad essere “più Europa” – ossia rafforzata all’interno dell’Europa stessa. Lui stesso a volte ha agito come se preferisse essere europeo. Era anti-americano e anti-israeliano, come è sempre stata l’Europa. Un aspetto ancora più significativo è che Obama ha sollevato l’Europa dall’enorme peso di essere grata agli Stati Uniti – il Paese che la salvò durante la Seconda guerra mondiale. Inoltre, il suo messaggio fondamentale era che l’America doveva smettere di sentirsi superiore agli altri Paesi.

Gatestone: Qual è la reazione degli europei a Trump?

FN: Sono indignati.

Gatestone: Sono indignati perché il presidente americano ha chiesto ai membri della Nato di adempiere i loro obblighi finanziari?

FN: La motivazione è molto più profonda, è quasi di natura antropologica. In Europa, c’è una sorta di snobismo aristocratico che non può tollerare ciò che ritiene essere la volgarità di Trump. Quando quest’ultimo ha detto alle Nazioni Unite che non potevano continuare ad accettare soldi dagli Stati Uniti e poi “votarci contro al Consiglio di Sicurezza”, gli europei hanno sussultato e detto: “Oh, soldi. Che parola disgustosa! È orribile sentire questo uomo d’affari, che non è un politico, ridurre tutto al denaro. È solo un ricatto”. Questo naturalmente è oltremodo ipocrita, visto che il denaro svolge un ruolo chiave in tutti gli atteggiamenti e le politiche dell’Europa – anche nella sua apparente scelta di continuare a fare affari con il regime iraniano pur sentendo gli appelli del popolo iraniano a favore della libertà. Gli europei dicono di disprezzare i politici, che considerano corrotti, ignoranti e inefficienti. Ogni volta che in Europa si va alle urne, ogni partito politico tenta di reclutare il maggior numero possibile di candidati nell’ambito imprenditoriale, perché sono visti come persone che prendono sul serio la società civile e che sanno il fatto loro a livello professionale.

Lo snobismo anti-Trump – come il comportamento di Macron – fa parte di una mentalità reazionaria tipica della Vecchia e della Nuova Europa.

Gatestone: Quanto è manifesta questa mentalità nell’atteggiamento dell’Europa nei confronti del Medio Oriente?

FN: La sindrome di “Lawrence d’Arabia” risale alla Vecchia Europa. È lo snobismo delle persone che si innamorano delle culture esotiche. C’è un romanticismo che circonda il Medio Oriente, associato a tappeti magici e lampade di Aladino. Ma con questo romanticismo arriva anche la paura – la paura di ciò che il grande storico Bernard Lewis ha chiamato i “primi assassini”, islamisti invasori che tagliano la gola alla gente. Esiste un’espressione italiana che meglio descrive questa paura ed è “Mamma, li Turchi” – che si riferisce agli ottomani, ma è usata ancor oggi per indicare la paura dei “barbari” che arrivano e commettono omicidi brutali. Questa paura ha indotto gli Stati europei a cercare di fare affari con i gruppi terroristici. Agli inizi degli anni Ottanta, ad esempio, funzionari italiani strinsero un accordo segreto con i terroristi palestinesi, che non culminò in una cooperazione, ma in una serie di attacchi mortali: l’attacco del 1982 alla Grande Sinagoga di Roma; il dirottamento della nave da crociera battente bandiera italiana Achille Lauro, nel 1985 e – sempre nel 1985 – gli attacchi simultanei agli aeroporti di Roma e Vienna.

Oltre allo snobismo e alla paura, gli europei nutrono interesse soprattutto per il petrolio. E questo da circa un centinaio di anni, da quando il petrolio divenne per la prima volta una merce ad alta domanda a livello globale e si scoprì che i Paesi mediorientali ne possedevano grandi quantità.

Poi c’è la questione dell’enorme numero di musulmani. Quando le nazioni islamiche si riuniscono in un consesso internazionale, come l’Unesco, esse ottengono una maggioranza automatica con il “Movimento dei Paesi non allineati”. L’Unione Sovietica ha capito che unendo il Terzo Mondo sotto la propria egida avrebbe maggiore potere. In passato, l’Europa è rimasta paralizzata a fronte di questa maggioranza. E lo è ancora, nonostante il crollo dell’Urss avvenuto quasi tre decenni fa.

Gatestone: È questo il motivo per cui l’Europa ha votato a favore della risoluzione dell’Unesco che nega i legami storici degli ebrei con Gerusalemme?

FN: Sì, ma c’è una tendenza ancor più preoccupante di tutto questo. Non esiste alcuna questione rilevante – all’infuori dell’ostilità nei confronti di Israele – su cui l’Ue riesce ad essere coesa. I Paesi membri dell’Unione europea non sono d’accordo sull’economia; non condividono la politica in materia di immigrazione; non sono d’accordo sulla natura dell’Islam. Ma poi fanno fronte comune e votano una risoluzione di condanna a Israele. Sono teatro dello stesso odio di cui ora fingono di pentirsi. Per fortuna, grazie all’Europa orientale, le cose potrebbero iniziare a cambiare.

Gatestone: Cosa rende diversa l’Europa orientale?

FN: L’Europa orientale ha vissuto e patito sotto l’Impero ottomano e sotto il comunismo per centinaia di anni, pertanto, è meno ingenua ed è priva di sensi di colpa. I cittadini dell’Europa orientale non sentono il “fardello dell’uomo bianco”. Tutto ciò che desiderano è vivere liberi e bene. Non vogliono migranti che importano una cultura patriarcale e spesso fondamentalista, e nemmeno il terrorismo. Molti cittadini dell’Europa occidentale non riescono nemmeno ad ammettere che numerosi migranti importano il terrorismo.

L’Europa occidentale nega anche il concetto dei diritti e dei valori umani. È così che Parigi oggi è una città in cui centinaia di migliaia di abitanti vivono in famiglie poligame. Da europei, si può ammettere di avere famiglie poligame? No, non si può. Si può ammettere che le donne non siano al sicuro nelle strade della Danimarca, dell’Olanda e della Svezia? No, non si può. Le uniche persone che lo ammettono e che riconoscono che la causa è l’Islam sono di destra ed è per questo che in Europa la destra è in crescita.

Questo è rischioso, perché ci sono degli antisemiti tra questi esponenti di destra, e tali elementi devono essere condannati. Di contro, la maggior parte dei partiti di destra non odia gli ebrei; al contrario, la maggioranza di loro ama e sostiene gli ebrei e Israele. Il fatto è che oggi l’antisemitismo più pericoloso arriva dalla sinistra e l’antisemitismo più pericoloso è quello che è diretto contro Israele.

La sinistra pensa che la peggiore violazione dei diritti umani sia imporre la cultura occidentale ad altri popoli – qualcosa che associa al colonialismo. Dice, ad esempio, che è sbagliato picchiare le donne ed evoca l’applicazione delle leggi contro coloro che le violano. Ma quando si consente a una cultura che segrega e perseguita le donne di prosperare, si registreranno numerosi delitti d’onore e altri tipi di comportamento che sono inaccettabili in Occidente e dovrebbero essere tali ovunque.

Gatestone: Trump è stato definito razzista per aver vietato l’ingresso negli Stati Uniti ai cittadini provenienti da otto Paesi musulmani, a meno che non ci sia un modo per controllare le persone che entrano nel Paese. Lei cosa ne pensa di queste politiche?

FN: Penso che la sua politica sia solida, ma spesso è impossibile operare una distinzione tra vittime innocenti del terrorismo e terroristi che arrivano dai Paesi mediorientali. Molti di coloro che arrivano in Europa a bordo di imbarcazioni sono in fuga da persecuzioni e terrorismo. Quelli che ci riescono senza affogare in mare vengono portati a riva mezzi nudi e avvolti in coperte. Sono privi di documenti d’identità. Ma cosa si può fare? Lasciarli annegare?

Il problema è che nel 2015, quando questi migranti hanno cominciato ad arrivare a frotte, l’Europa ha di nuovo chiuso gli occhi e non ha considerato la necessità di fornire aiuto consentendo loro di rimanere nei Paesi d’origine. Ora si tenta di invertire la tendenza degli europei, semplicemente spalancando le loro braccia ai profughi, ma è un processo troppo lento ed è molto tardi per avviarlo.

Gatestone: Cosa pensa l’Europa degli immigrati regolari, o dei loro figli, che tornano in Medio Oriente per ricevere addestramento dall’Isis e da altri gruppi terroristici, per compiere attacchi in Europa?

FN: Il problema qui è l’Islam e non l’immigrazione. “Islam” è una parola che gli europei devono imparare a pronunciare se intendono affrontare le difficili questioni poste dall’immigrazione incontrollata, sia regolare sia illegale.

Gatestone: Tornando all’Iran, il regime di Teheran accusa i “nemici stranieri” – ossia America, Arabia Saudita e Israele – di essere dietro le attuali proteste.

FN: Ciò è falso e ridicolo. Questi Paesi stanno solo comunicando messaggi di solidarietà al popolo iraniano. E questo è esattamente l’opposto di come l’amministrazione Obama reagì alla “Rivoluzione Verde” del 2009, che fu rapidamente repressa dal regime.

Gatestone: Che possibilità ci sono che le attuali proteste rovescino il regime?

FN: Una rivoluzione ha successo quando la leadership e le forze di sicurezza di un Paese sono spaccate al loro interno, e inizia la defezione dei loro membri. È così che è crollata l’Unione Sovietica. Non appena i leader si indebolirono, le forze di sicurezza e la polizia li abbandonarono. In Iran, la Guardia Rivoluzionaria e le milizie Basij sono fortemente allineate con il regime a livello religioso, ideologico e finanziario. Pertanto, è difficile immaginare che ci saranno defezioni di massa. E qui, arriviamo di nuovo alla conclusione che il problema è l’Islam. Ed è un problema in tutto il mondo. Dobbiamo riconoscere che quando parliamo di processo di pace tra Israele e i palestinesi, ad esempio, di fatto è un processo di pace tra Israele e l’Islam – che rifiuta l’esistenza stessa di Israele. Ecco perché non c’è stata pace.

Gatestone: Come spiega, allora, la recente cooperazione di alcuni Paesi arabi e musulmani con Israele? L’Islam politico può essere raggruppato in un’unica categoria? Differenti Paesi islamici non hanno interessi diversi?

FN: Attualmente, esiste una forte alleanza sunnita contro il rampante imperialismo sciita iraniano che fa dei Paesi sunniti gli alleati naturali dell’America e di Israele. Ma le alleanze in Medio Oriente sono fluttuanti. Oggi, l’Egitto ha interesse ad essere un forte alleato dell’Occidente. Ma poco prima che il presidente Abdel Fattah al-Sisi arrivasse al potere, il Paese era governato dai Fratelli Musulmani, e chissà chi arriverà o cosa succederà dopo?

Gatestone: Si potrebbe dire la stessa cosa degli Stati Uniti. Prima che Trump diventasse presidente, il suo predecessore per otto anni è stato Obama e nessuno sa quanto durerà l’attuale amministrazione.

FN: Le due cose non sono equiparabili. In America, le regole rimangono le stesse, non importa chi diventa presidente. In Egitto e nel resto del Medio Oriente, le regole cambiano ad ogni cambio di potere.

Gatestone: Perché, allora, un cambio di regime in Iran farebbe la differenza? Dopotutto, la Russia oggi è governata da Vladimir Putin, un ex funzionario del Kgb e membro di spicco del vecchio regime sovietico.

FN: Di solito, quando un regime viene rovesciato, affonda con i principali valori che rappresenta. Ciò è particolarmente rilevante quando si parla dell’Iran, che è musulmano, ma non arabo, e ha una ricca tradizione storica persiana, che include lo Zoroastrismo.

Gatestone: Quale scenario prevede per l’Iran?

In generale, oggi il mondo ha bisogno di una diplomazia della verità. Questo è ciò che Netanyahu è stato così bravo a fare, mettendo coraggiosamente in guardia il Congresso americano e le Nazioni Unite contro l’accordo sul nucleare con l’Iran, nonostante l’ira di Obama.

Troppe menzogne sono alla base delle relazioni internazionali. Fra tali menzogne figurano il “dialogo” tra le religioni per contrastare il terrorismo islamista; la falsa idea della “volontà di pace“ dei palestinesi; l’opinione secondo la quale la Turchia è un “ponte” verso il mondo musulmano; l’idea ridicola che il presidente iraniano Hassan Rouhani sia un “moderato”; la convinzione che una “Europa unita” sia il futuro del Vecchio Continente e la fiducia nelle Nazioni Unite come arbitro nelle questioni internazionali. Le politiche basate su queste menzogne non sono soltanto infruttuose, sono pericolose.

La diplomazia della verità, adottata da Trump e dalla sua ambasciatrice presso le Nazioni Unite, Nikki Haley, è l’unica speranza per la stabilità e la pace.

(*) Gatestone Institute

Traduzione a cura di Angelita La Spada


di Ruthie Blum (*)