Frizioni tra Washington e Pyongyang sullo smantellamento del sito nucleare

Mike Pence mette in crisi il difficile dialogo tra Stati Uniti e Corea del Nord. Il vice presidente americano ieri ha rilasciato un’intervista alla tivù Fox News, nel corso della quale ha ammonito Pyongyang. “Se non andrà avanti con la denuclearizzazione – ha detto Pence – la Corea del Nord farà la fine della Libia di Gheddafi”. Non proprio un messaggio di pace. Lanciato, peraltro, in una fase assai delicata. Infatti, l’ipotesi del vertice fra Trump e Kim Jong-un il 12 giugno a Singapore è quasi definitivamente tramontata. È in questo contesto infuocato che s’inserisce Pence. La replica di Pyongyang non si è fatta attendere. Choe Son-hui, viceministra degli Esteri nordcoreana, ha dichiarato: “non posso celare la mia sorpresa per l’ignoranza e la stupidità dei commenti del vicepresidente americano”. La viceministra, in una nota diffusa dall’agenzia di stampa della Corea del Nord, ha sottolineato proprio la difficoltà relativa al summit di Singapore.

“Non imploreremo gli Stati Uniti per il dialogo − ha detto − né ci prenderemo il disturbo di persuaderli, se non vogliono sedersi al tavolo con noi”. L’intenzione di Choe Son-hui è quella di suggerire a Kim Jong-un di cancellare il vertice, nel caso in cui gli Stati Uniti continuino a minacciare Pyongyang. In realtà, l’inizio della fase di stallo nei negoziati tra i due Paesi ha una data precisa: lo scorso 14 maggio. Quando il consigliere alla sicurezza nazionale John Bolton ha detto alla tivù Abc che “gli armamenti dell’esercito nord-coreano dovranno essere trasferiti nei nostri laboratori a Oak Ridge, in Tennessee”. Sono soprattutto queste le ragioni che hanno spinto Choe Son-hui a rilasciare una dichiarazione di fuoco. “Se gli Stati Uniti ci incontreranno in una sala riunioni o durante uno scontro nucleare – ha minacciato la viceministra degli Esteri nordcoreana − dipende interamente dalle decisioni e dai comportamenti della Casa Bianca”.

Aggiornato il 24 maggio 2018 alle ore 17:07