Camerun in crisi, 180mila anglofoni già fuggiti

In fuga contro la barbarie. È questa la condizione che hanno vissuto i 180mila camerunensi anglofoni fuggiti nell’ultimo mese dall’ovest del Paese verso la Nigeria. L’obiettivo è stato quello di scongiurare le rappresaglie dei militari al servizio del governo di Yaoundé. La loro rivendicazione è stata quella di usare l’inglese nelle loro scuole e nei loro tribunali. Andrew Nkea, vescovo della diocesi di Mamfe, nel Sud-ovest del Camerun, accusa l’esercito di “violenza cieca, inumana e mostruosa” nei confronti della popolazione che è schierata a sostegno degli indipendentisti più agguerriti, coloro i quali vorrebbero creare una nuova nazione, l’Amazonia. Alla stampa è precluso ogni accesso nella regione. Sono ammessi solo piccoli gruppi di operatori umanitari.

L’emergenza riguarda gli ultimi ventimila profughi, molti dei quali non hanno un luogo sicuro in cui dormire. Ma, soprattutto, non hanno la possibilità di bere e di mangiare. Alcuni di loro, sperando di trovare cibo e acqua, si sono rifugiati nelle foreste che separano il Camerun dalla Nigeria. Ma, in quel contesto assolutamente selvaggio, hanno incontrato nuovi temibili pericoli: dai ragni ai serpenti velenosi. Eppure, c’è chi ce l’ha fatta. Sono i più fortunati. Intere famiglie hanno trovato rifugio in terra nigeriana. Un fatto è certo. La crisi umanitaria è ormai evidente alla comunità internazionale. A questo punto, è necessario l’intervento delle Nazioni Unite. O, almeno, dell’Unione africana.

Aggiornato il 08 giugno 2018 alle ore 13:20