Saudite al volante

Era il 26 settembre del 2017 quando il Re Salman dell’Arabia Saudita annunciò che le donne, a partire da giugno 2018, avrebbero avuto il permesso di guidare la macchina al pari degli uomini.

L’Arabia Saudita era l’unico Paese al mondo, dal 1957, in cui le donne non potevano condurre le automobili. Le ragioni sono legate alla dottrina wahabita che vige nel Regno e che dà un’interpretazione rigida del Corano nell’Islam sunnita, quella degli sceicchi più estremisti per intenderci. Alla base del divieto c’era la convinzione che la guida avrebbe rovinato il corpo delle donne, che avrebbe messo a rischio la loro dignità e il loro onore ma soprattutto che avrebbe distratto le madri dai loro impegni domestici, giudicati primari in una società dove l’uomo rimane il capo assoluto della famiglia.

Malgrado l’influenza e l’importanza degli sceicchi, il divieto è caduto a mezzanotte tra sabato e domenica e moltissime saudite si sono messe immediatamente al volante per festeggiare una data storica. Questa proibizione era stata sfidata diverse volte. Già dopo la Guerra del Golfo, nel 1991, ci sono state diverse manifestazioni di attiviste che, sfidando la legge e gli arresti, si sono riunite ognuna alla guida della propria auto. La rivolta è proseguita anche sui social network dove sono spesso comparsi video e foto di donne al volante.

E finalmente il tabù è caduto all’inizio di giugno quando sono state rilasciate le prime dieci patenti, segno che la promessa del Re sarebbe stata mantenuta, anche se per guidare serve ancora il consenso di un componente maschio della famiglia. L’abolizione di questo divieto fa parte di “Vision 2030”, un piano di riforme economiche e sociale volute dal potente principe ereditario Mohammed Bin Salam che ha detto di volere guidare il Regno verso un Islam tollerante e moderato, aperto al mondo ed a tutte le religioni. Nel piano di modernizzazione compaiono anche il permesso alle donne di diventare imprenditrici, senza il consenso del marito o del padre, quello di fare le investigatrici e quello di entrare allo stadio e al cinema.

Ma si tratta di una rivoluzione a metà che mette in evidenza tutte le sue contraddizioni ed i suoi punti deboli perché, se da un lato, la vita delle donne sembra orientarsi verso una maggiore libertà individuale, dall’altro vigono ancora delle interdizioni che ostacolano la quotidianità di moltissime cittadine. Ad esempio, le donne non possono viaggiare all’estero, sposarsi, divorziare o frequentare le scuole superiori senza il consenso di un tutore maschio che può essere il marito, il padre, il fratello ma anche il figlio. Restano molto rigide anche le regole per l’abbigliamento, che impongono una totale copertura del corpo, così come le restrizioni nei luoghi comuni dove spesso uomini e donne devono rimanere separati. Insomma, la strada verso l’emancipazione femminile è ancora lunga, anche se una prima pietra verso l’indipendenza sembra essere stata posata.

Aggiornato il 25 giugno 2018 alle ore 19:44