Palestinesi rifugiati a vita grazie all’Unrwa

Trasmettere per eredità lo status di profugo, di padre in figlio? In questi giorni che si parla tanto di diritto d’asilo e di “rifugiati”, per via del nuovo attivismo salviniano sui tanti sfortunati che provengono dall’Africa e che poi sono provvisoriamente − ma inesorabilmente −  parcheggiati in Italia, chissà che direbbero i tanti odiatori di Israele, tra cui non pochi si annidano tra i Cinque stelle che di questo governo “del cambiamento” costituiscono l’asse portante, se a curarsi di queste persone fosse un organismo come l’Unrwa. Per l’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei rifugiati palestinesi nel Vicino Oriente, infatti, uno statuto assurdo sancisce che  la definizione di rifugiato palestinese è quella di “qualsiasi persona il cui normale luogo di residenza fosse la Palestina durante il periodo dal 1° giugno 1946 al 15 maggio 1948 e che abbia perso casa e mezzi di sostentamento a seguito del conflitto del 1948. I rifugiati palestinesi sono persone che soddisfano la definizione di cui sopra e discendenti di padri che soddisfano la definizione”. E infatti l’Unrwa, con un budget annuo di oltre due miliardi di dollari, assiste quasi 5 milioni e mezzo di palestinesi, compresi quelli che vivono tra Gaza e West Bank, e profughi non sono più, dando da mangiare a quasi 30mila dipendenti. Sarebbe come se gli italiani considerassero profughi quelli di Zara e Fiume, assistendoli in vista di un improbabile ritorno nell’odierna Croazia, magari dopo apposita guerra vinta. Una follia che nel mondo esiste soltanto ai danni di Israele e infatti l’organismo su citato sembra fatto apposta per tenere rinfocolato il conflitto più che per sopirlo. Con questa storia di considerare profughi i discendenti dei seicentomila che nel 1948 lasciarono le loro terre a causa del rifiuto arabo di accettare la soluzione Onu di due popoli e due stati, che poi è la stessa che si contrabbanda oggi come panacea del conflitto in Medio Oriente, fra trenta o cinquanta anni non è impensabile ritenere che i cosiddetti profughi palestinesi potrebbero diventare una ventina di milioni. E che i posti di lavoro e il budget Unrwa si moltiplichino per tre.

Oltre a queste assurdità ontologiche dell’Unrwa però, quello che preoccupa è il fatto che molti dipendenti si siano distinti (e siano anche stati arrestati) per avere agevolato le azioni terroristiche di Hamas e per il fatto che nelle scuole finanziate dall’Unrwa – cioè dall’Onu – si insegni l’odio verso i bambini israeliani e si esaltino i martiri suicidi. Recentemente, proprio queste scuole Onu si sono anche distinte per avere concesso i venerdì di vacanza ai bambini che poi dovevano partecipare, insieme ai genitori, alle giornate della collera contro Israele e ai tentativi più o meno armati di sfondare i confini. Forse anche per questi motivi il presidente Donald Trump si è deciso a  tagliare i fondi americani, mentre per gli europei questo organismo non è neppure messo in discussione. Per noi italiani – che spesso dubitiamo della buona fede e del filantropismo delle tante Ong internazionali che fanno salvataggi in mare e che riversano in terra italiana i poveri africani vittime della tratta di esseri umani o di precisi calcoli geo politici dei dittatorelli delle rispettive patrie – la storia di questo organismo che sembra fatto apposta, più che per assistere i profughi, per preparare guerriglie di rivincita palestinese contro gli israeliani, potrebbe essere motivo di ampia riflessione.

Aggiornato il 10 luglio 2018 alle ore 14:25