L’Armenia e la violazione dei diritti umani

venerdì 13 luglio 2018


L’11 luglio 2018 ha segnato i quattro anni dalla terribile tragedia avvenuta nel distretto del Kalbajar dell’Azerbaigian, occupato dall’Armenia. Allora, i cittadini dell’Azerbaigian Dilgam Asgarov e Shahbaz Guliyev furono presi in ostaggio dalle truppe di occupazione dell’Armenia e il cittadino Hasan Hasanov fu brutalmente ucciso mentre visitava il cimitero dove erano sepolti i parenti nella regione. Asgarov ha ricevuto la condanna all’ergastolo mentre l’altro cittadino Guliyev è stato condannato a 22 anni di reclusione dal regime illegale e separatista creato dall’Armenia nei territori occupati dell’Azerbaigian.

Il caso è giunto alla ribalta internazionale per la presenza di alcune foto dei due prigionieri civili in cui vengono evidenziate particolari violazioni della dignità umana. Il caso è emblematico poiché l’esercito dell’Armenia ha violato la Convenzione di Ginevra del 1949 che vieta la presa in ostaggio dei civili e la reclusione forzata in condizioni e trattamenti inumani e degradanti. Esploso prepotentemente con il dissolversi dell’Urss, lo scontro vede la regione del Nagorno-Karabakh dell’Azerbaigian e i 7 distretti azerbaigiani adiacenti occupati dalle forze armate dell’Armenia da ormai più di due decenni. Per il diritto internazionale il Nagorno-Karabakh è parte dell’Azerbaigian. Ma dopo migliaia di morti, oltre a centinaia di migliaia di profughi, la situazione di occupazione armena è ancora invariata.

Nel maggio del 1994 l’Armenia e l’Azerbaigian, infatti, sospesero le ostilità e firmarono l’Accordo di Bishkek, ma ciò non portò al disarmo. Il cessate il fuoco è spesso violato. E i negoziati, ormai da anni, sono in un vicolo cieco. L’occupazione riguarda circa il 20 per cento dei territori riconosciuti internazionalmente dell’Azerbaigian ed ha portato ad una pulizia etnica contro gli azerbaigiani di questi territori e ad atti di barbarie, la cui massima espressione fu il massacro, da molti riconosciuto come genocidio, contro civili azerbaigiani nella città di Khojali nella notte del 25-26 febbraio del 1992.

La Repubblica dell’Azerbaigian sollecita la Comunità internazionale a condannare l’Armenia per la palese violazione del diritto internazionale e insiste sull’attuazione delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite n. 822 (1993), 853 (1993), 874 (1993) e 884 (1993). Anche il caso dei civili dell’Azerbaigian rientra perfettamente in tale clima di illegalità. Dovrebbe essere diritto di ogni cittadino poter visitare le tombe ove giacciono i propri cari, morti a causa di una guerra che continua a generare disastri nonostante le continue condanne internazionali e il riconoscimento ufficiale e onusiano dei territori alla Repubblica dell’Azerbaigian. Occorre ricordare che la Corte europea dei Diritti dell’Uomo ha stabilito la responsabilità dell’Armenia come parte occupante nel caso “Chiragov e altri c. Armenia”. In particolare, la Corte ha ribadito il diritto degli sfollati a tornare alle loro case o ai luoghi di residenza abituale e ha richiamato le norme e i principi pertinenti della legislazione internazionale umanitaria e dei diritti umani relativa alle questioni legali e tecniche concernenti l’alloggio e la restituzione delle proprietà. In questo contesto, secondo la Corte, come riportato nel paragrafo 195 della sentenza, attualmente la presenza continua di truppe armene e le violazioni del cessate il fuoco sono il principale ostacolo per gli Azerbaigiani a tornare alle loro case. D’altronde la situazione in Armenia resta allarmante.

L’ex presidente Serzh Sargsyan ha fatto passare l’Armenia da un regime presidenziale a un regime parlamentare per poi farsi nominare primo ministro dalla camera controllata dal suo partito. Lo spirito della costituzione del paese è stato chiaramente calpestato. Così le manifestazioni di protesta hanno costretto Sargsyan a dimettersi il 23 aprile, lasciando via libera a Nikol Pashinyan. Il nuovo primo ministro dell’Armenia, facendo riferimento al tema del Karabakh, sembra preferire l’agitazione politica invece di impegnarsi per affrontare i difficili problemi socio-economici dell'Armenia e del popolo armeno. Dispiace che abbia iniziato a rilasciare dichiarazioni controverse sul processo negoziale per la risoluzione del conflitto del Nagorno-Karabakh tra Armenia ed Azerbaigian. Questo passo nocivo è volto a rompere il processo negoziale e a preservare lo status quo - fondato sull’occupazione. La risoluzione del conflitto può contribuire a garantire pace e sicurezza sostenibili nella regione e l’istituzione di una cooperazione regionale globale. Prima di tutto, la stessa popolazione dell’Armenia può beneficiare di tali prospettive di cooperazione regionale.

(*) Presidente dell’Istituto di Ricerca di Economia e Politica Internazionale (Irepi)


di Domenico Letizia (*)