La tirannia venezuelana delle cattive idee

mercoledì 5 settembre 2018


Le idee governano il mondo: quelle buone creano libertà e benessere; quelle cattive, oppressione e povertà. Certo, il denaro è importante, ma non è che un mezzo per un fine. Le idee sono il fine. Non siamo ciò che mangiamo, siamo ciò che pensiamo.

I politici, in particolare, cadono sotto l’influenza delle idee. Come diceva John Maynard Keynes, “Gli uomini della pratica, i quali si ritengono affatto liberi da ogni influenza intellettuale, sono spesso gli schiavi di qualche economista defunto. Pazzi al potere, i quali odono voci nell’aria, distillano le loro frenesie da qualche scribacchino accademico di pochi anni addietro. (…) sono le idee, non gli interessi costituiti, che sono pericolose nel bene o nel male”.

La storia del Venezuela, portata dalla ricchezza alla miseria da un pazzo al potere, sottolinea questo punto con straordinaria chiarezza. Nel 1914, la scoperta del petrolio in Venezuela offrì al paese immense risorse e produsse una economia relativamente libera. Nel 1950, il Venezuela aveva il quarto reddito pro capite più alto del mondo, dietro solo a Stati Uniti, Svizzera e Nuova Zelanda. Solo nel 1980, vantava  l’economia in più rapida crescita del XX secolo. Nel 2001, il Venezuela era ancora considerato il paese più ricco dell’America Latina.

Ma i guai del Venezuela erano iniziati molto tempo prima. A partire dal 1958, l’interferenza del governo nell’economia, compresi i controlli dei prezzi e dei cambi, imposte più elevate e restrizioni sui diritti di proprietà, portò a decenni di stagnazione, con il reddito reale pro capite che diminuì dello 0,13 per cento tra il 1960 e il 1997. Tuttavia, il paese continuò a essere normale e funzionante.

Oggi, il Venezuela, con le più grandi riserve petrolifere del mondo risente degli effetti di una recessione economica, di una inflazione galoppante, del dispotismo, dell’immigrazione di massa, della criminalità, delle malattie, della fame e dell’inedia, con circostanze che si deteriorano quotidianamente. L’economia venezuelana ha subito una flessione del 16 per cento nel 2016, del 14 per cento lo scorso anno e si prevede una contrazione del 15 per cento nel 2018. L’inflazione è salita al 112 per cento nel 2015 e al 2.400 per cento alla fine dello scorso anno. L’economista Steve Hanke della Johns Hopkins University stima un tasso di inflazione annuo del 65mila per cento per il 2018, il che rende quella venezuelana una delle più gravi iperinflazioni della storia. La mancanza di cibo ha portato a una perdita di peso media fra i venezuelani di circa 8 kg nel 2016 e di 10 kg nel 2017. Cosa ha causato questa crisi? L’invasione straniera, la guerra civile, le calamità naturali, i sostituti del petrolio o le piaghe che affliggono l’agricoltura? No, niente di tutto questo. Solo le cattive idee, punto e basta.

Il socialismo potrebbe essersi dimostrato un fallimento mondiale, ma Hugo Chávez convinse i venezuelani a provarlo. Diventato presidente nel 1999, rubò, dominò, polarizzò e finì in prigione. Beneficiando di circa 1 trilione di dollari ricavati dalle vendite petrolifere durante i suoi 14 anni da presidente, Chávez ebbe i mezzi per lanciare massicci programmi di spesa sociale per ottenere voti. Poté perfino permettersi di uccidere la gallina dalle uova d’oro, sostituendo i professionisti competenti della compagnia petrolifera di proprietà del governo con agenti, tirapiedi e sicofanti. Nella più grande tradizione socialista, sua figlia María ha accumulato una fortuna stimata 4,2 miliardi di dollari nel 2015, secondo quanto riportato dalla stampa venezuelana.

“Il problema del socialismo”, osservò una volta Margaret Thatcher, “è che col tempo i soldi degli altri finiscono”. Chávez anticipò il problema recandosi all’Avana per sottoporsi a delle cure oncologiche, ma lì, come riporta Fox News, “fu assassinato dalla negligenza cubana”.  Morì nel marzo 2013, circa un anno prima che i prezzi del petrolio crollassero e lasciò in eredità il disastro che ne seguì a Nicolás Maduro, il suo successore da lui scelto, ancora più brutale e incompetente. Una volta che i proventi petroliferi diminuirono, i reali costi delle idee da bancarotta di Chávez divennero chiari. Il Venezuela sta ora sprofondando nel totalitarismo, usando la forza militare per tenere a galla il socialismo.

Le cattive idee sono sempre esistite, ma acquisirono nuova importanza con l’avvento del liberalismo, alla fine del XVII secolo. Prima di allora, era prevalso il conservatorismo – che rispettava la tradizione  adattandola alle nuove circostanze. La visione incantata di ogni sovrano o di ogni leader religioso riuscì a progredire solo fino a un certo punto, prima che la convenzione la ridimensionasse. Il liberalismo rese facoltativa la tradizione, ritenendo ottimisticamente che ogni persona sia capace di riflettere a fondo sulle grandi questioni con la propria testa.

Le idee radicali proliferarono, specialmente durante la Rivoluzione francese. Si spalancarono le porte a teorie disancorate dall’esperienza e dal buonsenso, comprese le teorie cospirative. Queste idee furono incubate nel XIX secolo e si concretizzarono dopo la Prima guerra mondiale con il fascismo, il nazismo, il socialismo e il comunismo. Come osserva lo storico Paul Johnson, “il peggiore di tutti i dispotismi è la spietata tirannia delle idee”.

La lista dei tiranni che hanno imposto le loro filosofie nel secolo scorso è tristemente lunga e include Mussolini, Lenin, Stalin, Tojo, Hitler, Ho, Mao, Kim, Nasser, Pol Pot, Mugabe, Assad, Saddam Hussein, Khomeini e Chávez. Tutti compresero appieno il loro stesso gioco e come avrebbe osservato Stalin: “Le idee sono più potenti delle armi”. Ognuno di loro distrusse il proprio feudo.

Se le cattive idee recano orrore, il loro antidoto risiede nelle idee conservatrici, modeste, collaudate che rispettano la tradizione e la natura umana; non in cambiamenti rivoluzionari e in grandiosi esperimenti, ma in miglioramenti progressivi delle consuetudini.

In un momento in cui molti democratici ignorano le lezioni del Venezuela e vanno in estasi per il socialismo, si torna sulle barricate nella guerra delle idee.

(*) Traduzione a cura di Angelita La Spada


di Daniel Pipes