Palestinesi: Sputare nel pozzo

Ancora una volta, i palestinesi inviano messaggi contrastanti in merito alla loro posizione nei confronti dell’amministrazione del presidente americano Donald Trump. Da un lato, i palestinesi condannano l’amministrazione Trump per la sua decisione di tagliare tutti gli aiuti americani all’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei profughi palestinesi (Unrwa); dall’altro, sono contrari a qualsiasi piano dell’amministrazione americana per fornire loro aiuti finanziari e migliorare le condizioni di vita. Questa posizione palestinese non è soltanto un doppio gioco, ma riflette altresì lo stato di confusione e incertezza che regna tra la leadership palestinese a Ramallah in particolare e la popolazione palestinese in generale.

In realtà, i palestinesi hanno un messaggio prioritario per l’amministrazione statunitense ed è: vi odiamo e sobilliamo contro di voi, ma ci aspettiamo che continuerete a erogarci denaro contante per miliardi di dollari. E quando cercherete di aiutarci, ci riserveremo il diritto di sputarvi in faccia. È questo il messaggio – nonostante l’offuscamento molto ipocrita – che i palestinesi cercano da tempo di comunicare agli Stati Uniti.

E ora i fatti. Il 4 settembre scorso, i palestinesi hanno inscenato una protesta a Ramallah contro la decisione dell’amministrazione Trump di sospendere gli aiuti americani all’Unrwa. Durante le proteste davanti alla America House (il centro educativo e culturale che appartiene al Consolato generale americano con sede a Ramallah, la capitale de facto dei palestinesi), i palestinesi hanno bruciato le foto di Trump e di alcuni dei suoi alti rappresentanti, come l’ambasciatore americano in Israele David Friedman e i consiglieri presidenziali Jared Kushner e Jason Greenblatt. I manifestanti hanno scandito slogan di condanna nei confronti dell’amministrazione Trump, accusandola di essere “pienamente complice” di Israele nella sua “aggressione e guerra” contro i palestinesi.

In altre parole, i manifestanti palestinesi, tra cui gli alti funzionari di Fatah, la fazione al potere del presidente dell’Autorità palestinese Mahmoud Abbas, chiedono che gli Stati Uniti continuino a finanziare i “profughi” palestinesi attraverso l’Unrwa. Il messaggio che i manifestanti hanno inviato all’amministrazione Trump è il seguente: Guardate, bruciamo le foto del vostro presidente e degli alti funzionari, e vi odiamo, perciò vi preghiamo di continuare a darci milioni di dollari ogni anno.

Come di recente osservato in un altro articolo pubblicato dal Gatestone, in arabo questo è chiamato wakaha (impudenza o audacia). Ci vuole molta wakaha per sputare in faccia a qualcuno e poi tendere la mano per elemosinare denaro.

Il giorno successivo alle proteste di Ramallah, manifestanti palestinesi a Gerusalemme Est hanno cercato di impedire a un gruppo di imprenditori palestinesi di partecipare a un incontro organizzato dal Consolato generale americano. Indovinate un po’ chi ha guidato le proteste contro il meeting che era finalizzato ad arrecare vantaggi ai residenti arabi di Gerusalemme? Gli attivisti di Fatah, la fazione di Abbas: Shadi Mtour e Awad Salaymeh. I manifestanti si sono radunati all’esterno del Notre Dame Hotel, situato proprio di fronte alla Porta Nuova della Città Vecchia, e hanno impedito agli imprenditori di entrare nell’edificio.

Mtour ha affermato che l’incontro organizzato dal Consolato generale degli Stati Uniti è stato un tentativo di “scavalcare la leadership palestinese” di Ramallah. “Questo è inaccettabile perché appoggiamo la posizione ufficiale palestinese di boicottare l’amministrazione statunitense”, egli ha detto. Ha inoltre dichiarato che alcuni degli imprenditori hanno distolto lo sguardo alla vista dei manifestanti. Tuttavia, Mtour ha espresso il suo profondo disappunto per il fatto che altri abbiano preferito ignorare le proteste e partecipato all’incontro. E ha aggiunto: “Vergogna a loro e a chiunque accetti di scendere a compromessi su Gerusalemme”.

Salaymeh, da parte sua, ha accusato i partecipanti palestinesi al meeting di promuovere la “normalizzazione” con Israele e gli Stati Uniti, perché, come egli ha asserito, Stati Uniti e Israele sono “due facce della stessa medaglia”.

Nel caso in cui nessuno l’avesse notato, Mtour e Salaymeh sono entrambi membri di Fatah, la fazione che domina e controlla l’Autorità palestinese. L’intera esistenza di Fatah dipende essenzialmente dagli aiuti finanziari degli Stati Uniti, dell’Ue e di altri donatori occidentali.

Così, mentre i manifestanti chiedevano a Ramallah che gli Stati Uniti revocassero la decisione di tagliare i fondi all’Unrwa, gli uomini di Abbas a Gerusalemme Est hanno cercato di bloccare una riunione patrocinata dagli Stati Uniti per discutere in che modo aiutare l’economia palestinese.

Questo non è stato il primo episodio in cui i palestinesi hanno rifiutato un tentativo da parte degli americani di aiutarli. Lo scorso mese di luglio, i palestinesi hanno ostacolato una visita programmata alla città di Nablus, in Cisgiordania, da parte di una delegazione del Consolato americano. L’incontro pianificato era parte di un costante impegno statunitense per migliorare la cooperazione e accrescere le opportunità economiche. La visita è stata annullata per timori legati alla sicurezza dei diplomatici statunitensi, dopo che i manifestanti palestinesi avevano minacciato di far saltare l’incontro e chiesto di boicottare la delegazione in visita.

Per accrescere la confusione in merito alla posizione palestinese nei confronti degli Stati Uniti, è stato da poco rivelato che una delegazione formata da alti funzionari dei servizi di sicurezza palestinesi e di intelligence si è di recente recata in visita a Washington per una serie di colloqui con i funzionari della Cia.

Abbas e la leadership palestinese non hanno smentito la notizia riguardante la visita. Ma aspettate un attimo, Abbas e i suoi funzionari non boicottano l’amministrazione Trump dopo la decisione del dicembre 2017 da parte del presidente americano di riconoscere Gerusalemme come capitale di Israele?

Ovviamente, Abbas e la leadership palestinese non hanno una strategia ragionata in merito all’amministrazione statunitense. Il loro messaggio e le azioni contrastanti sono un ennesimo segnale della mancanza di una reale visione palestinese. Ciò che è chiaro, tuttavia, è che la retorica antiamericana dei palestinesi renderà più difficile per loro in futuro la possibilità di essere considerati dagli americani dei partner affidabili e leali per qualsiasi processo di pace con Israele.

Evidentemente Abbas e i suoi alti funzionari a Ramallah desiderano avere entrambe le cose: continuare a istigare contro l’amministrazione Trump e ricevere gli aiuti finanziati dai contribuenti americani. Questa istigazione, intanto, alimenta il sentimento antiamericano tra i palestinesi e molti altri arabi, che ora definiscono gli Stati Uniti come il nemico numero uno degli arabi e dei musulmani. Da qui, la strada verso la violenza e le azioni terroristiche contro i cittadini americani in Medio Oriente è molto breve.

Bruciare le immagini di Trump e degli alti funzionari dell’amministrazione americana nelle strade delle città palestinesi dovrebbe essere considerato non solo offensivo, ma a tutti gli effetti un atto di guerra contro gli americani. Abbas e soci farebbero bene a sapere che sputando nel pozzo da cui bevono, l’acqua che attingono sarà davvero amara.

(*) Gatestone Institute

 (**) Il 4 settembre scorso, i manifestanti palestinesi, tra cui alti funzionari di Fatah, la fazione del presidente dell’Autorità palestinese Mahmoud Abbas (a destra, nella foto) hanno bruciato le immagini del presidente Donald Trump e di alcuni dei suoi alti rappresentanti, come i consiglieri presidenziali Jared Kushner (al centro, nella foto) e Jason Greenblatt (a sinistra). La foto dell’incontro di cui sopra è stata scattata il 21 giugno 2017 a Ramallah (fonte dell'immagine: Thaer Ghanaim/Ppo via Getty Images).

Traduzione di Angelita La Spada

Aggiornato il 28 settembre 2018 alle ore 13:31