I forzati dell’immigrazione

Sono pazzi questi Honduregni e Salvadoregni? Come si possono affrontare con donne e bambini di qualunque età molte migliaia di chilometri a piedi, attraversando vari confini per poi arrivare in Messico e quindi a viva forza negli Stati Uniti? Il cattivo esempio, come sempre, viene in tal senso dall’Europa. Anche qui, milioni di migranti illegali africani si fanno naufraghi volontari a rischio della propria vita, sfruttando il sacrosanto diritto internazionale del mare a essere salvati, per poi utilizzare ancora strumentalmente una Convenzione desolatamente datata come quella di Ginevra sui rifugiati, per presentare false domande d’asilo negli Stati di accoglienza. E nel caso che queste ultime vengano rigettate perché prive di fondamento (salvo a riconoscere loro una fantomatica protezione umanitaria da parte di Autorità italiane impotenti) ci si immerge impuniti nella clandestinità in attesa di una sanatoria, o si tenta la fuga in un altro Paese dell’Unione avvalendosi degli scarsi controlli interfrontalieri. La prepotenza (del tipo: “se mi prendono e mi rimandano indietro io ritento lo stesso”) in questo caso fa premio sul diritto alla protezione dei confini nazionali di Stati ormai non più padroni in casa propria.

Questi ultimi, infatti, confrontati ai grandi numeri di immigrati entrati illegalmente sul loro territorio nazionale, non sono in grado di attivare efficaci politiche di rimpatrio di massa, preferendo procedere per il contenimento di questi enormi flussi illegali a consistenti investimenti nei Paesi di origine, pur di favorire faticosi accordi bilaterali di rimpatrio di connazionali immigrati.

Tuttavia, nel caso dell’Honduras e di El Salvador, sono proprio gli Stati Uniti ad aver lasciato crescere la malapianta delle gang che seminano il terrore nella popolazione civile locale, deportando in Centro America fino ai primi anni 2000 decine di migliaia di criminali sudamericani grazie alla legge del 1996 “Illegal Immigration Reform and Immigrant Responsibility Act”. Il che ha consentito a gang del tipo Mara Salvatrucha (MS-13) e “18th Street gang” (Barrio 18) - la cui formazione era avvenuta in territorio Usa - di espandersi in El Salvador, Guatemala e Honduras.  A tutto ciò si sono venuti a sommare sia i disastri delle guerre civili locali che hanno visto privare dell’assistenza familiare decine di migliaia di giovani in presenza di disuguaglianze sociali estreme, sia politiche di incarcerazioni di massa di giovani sospetti, combinate a un fallimentare sistema giudiziario e di sicurezza. Da qui, l’insorgenza del mostro delle gang giovanili.

Negli ultimi 15 anni questa gioventù violenta e spietata  ha preso il controllo delle aree rurali e urbane in tutta l’America del Nord e in quella Centrale, insediando veri e propri posti di blocco nei quartieri più disagiati e imponendo la propria legge a una smarrita società civile. Il fenomeno della criminalità coniugata alla estrema povertà, che rappresenta la principale causa di emigrazione forzata per milioni di famiglie centroamericane, produce notevoli extra costi per i nuclei familiari rimasti in patria: i genitori sono costretti a lavorare molte ore in più per mandare i figli a scuola privata, sottraendoli così al dilagante clima di insicurezza. Gli adolescenti dai dodici anni in poi sono i bersagli principali dell’intimidazione e del reclutamento criminali, mentre le ragazze in età ancora più giovane vengono sfruttate sessualmente o indotte con la violenza ad affiliarsi alle gang. La loro sorte dipende solo dalla volontà arbitraria dei locali capomafia (palabreros) che comandano le varie cellule (clicas) locali.  E, in tutto ciò, l’Onu sta a guardare, come sempre.

Aggiornato il 30 ottobre 2018 alle ore 11:36