Sono stressato, vado in galera

mercoledì 28 novembre 2018


In prigione per sfuggire allo stress della vita quotidiana. Sembra una follia, invece in Corea del Sud è realtà dal 2008.

In dieci anni, oltre 2000 persone hanno bussato alle porte di “Prison Inside me”, una struttura un po’ particolare in mezzo alla campagna coreana dove è possibile farsi rinchiudere, a pagamento, in celle di sei metri quadri, in isolamento, senza telefonini e orologi. Si dorme sul pavimento su un materassino da yoga e nel piccolo bagno a disposizione non ci sono specchi.

La durata del soggiorno varia a seconda delle circostanze e delle necessità. Per una notte in prigione, si sborsano circa 90 dollari. Gli unici lussi concessi sono un servizio da tè, una penna e un bloc-notes per far scivolare i propri pensieri in libertà. Ma la prima regola è quella del silenzio: è rigorosamente vietato parlare agli altri detenuti proprio poiché il fine ultimo è cercare il relax totale, scappando dalla pressione del lavoro. Osservando i dati  dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) relativi al numero di ore lavorative settimanali, si intuisce perché i sudcoreani siano disposti a farsi rinchiudere volontariamente in prigione pur di rilassarsi anche solo per un giorno.

Questi  lavoratori  infatti sono quelli che faticano di più in ufficio, raggiungendo quota 52 ore settimanali. Un’enormità se si pensa che fino al 1 marzo 2018, quando l’Assemblea nazionale di Seoul ha approvato il taglio della settimana di lavoro, le ore lavorative erano 68. La media Ocse è di 38,9 ore. L’Italia si colloca nella zona alta della lista con 33 ore a settimana circa (più di 6 al giorno). Una passeggiata di salute in confronto agli amici asiatici. Chissà se il modello Alcatraz coreano troverebbe adepti anche nel nostro Paese?


di Cristina De Palma