Zimbabwe, rischio di sommossa popolare

Nel corso della settimana scorsa ad Harare, capitale dello Zimbabwe, gli interventi della locale polizia contro i dimostranti hanno causato 12 morti, 80 feriti da arma da fuoco, centinaia di casi di aggressione o tortura e arresti a sufficienza per riempire le carceri al di là delle capacità di sovraffollamento in cui permangono da lungo tempo. Le sommosse che si sono verificate sin dal 14 gennaio in molte aree, sono avvenute in risposta ad un aumento del prezzo del carburante del 150% attuato dal governo. Il potenziale di ulteriori disordini e le diffuse notizie di saccheggi che hanno accompagnato le proteste non faranno altro che confermare che il paese sta attraversando una profonda crisi economica.

Negli ultimi due anni lo Zimbabwe ha vissuto un cambiamento istituzionale non indifferente. Dalla destituzione, nel novembre 2017, del novantatreenne presidente dello Zimbabwe, Robert Mugabe, e sua sostituzione con l’allora vicepresidente Emmerson Mnangagwa, ma soprattutto le nuove elezioni “democratiche” che ad agosto scorso hanno confermato Mnangagwa alla guida del Paese. Purtroppo però, sembra che non molto sia cambiato rispetto alla gestione dittatoriale di Mugabe e il cancro ancestrale della corruzione continui imperterrito la sua piena azione distruttiva a livello nazionale. 

È stata, infatti, la persistente corruzione negli ultimi mesi a dissuadere quei pochi investitori, tra cui risulta anche la potente Cina, ancora interessati allo Zimbabwe costringendoli ad allontanarsi dal mercato locale. Il paese non ha più una valuta propria e gran parte del denaro della gente è rinchiuso in conti che non hanno riserve straniere per sostenerli. I “Bond Notes”, entrati in uso da circa due anni per pagare gli statali, mostrano un ritorno “de facto” al dollaro zimbabwano.

Il governo Mnangagwa, sin dalla destituzione di Mugabe aveva puntato sul rilancio dell’agricoltura, primaria fonte di reddito del Pil e settore in cui le aziende italiane primeggiano per presenza nel rinnovamento dei mezzi e della logistica.  Ma gli espropri “senza indennizzo”, introdotti dalla Riforma agraria, si sono tradotti, nella maggioranza dei casi, nella “cannibalizzazione” degli asset delle imprese agricole confiscate (macchinari, sistemi di irrigazione, ecc.) e nell'abbandono dei terreni stessi.

A tutt’oggi l’inflazione sta crescendo vertiginosamente, causando scarsità di prodotti di prima necessità dell’intero comparto alimentare, la scomparsa dei medicinali di base e la decimazione dei risparmi delle persone. Sul fronte politico, i principali attori dell’opposizione hanno paura di lasciare anche le loro case. Negli ultimi giorni molte persone sono state arrestate, processate e condannate in tempi brevissimi da corte marziale e, cosa da evidenziare, il governo da sabato scorso ha oscurato l’accesso a Internet nella maggior parte del paese dall'inizio delle proteste.

L’Unione Europea, pur avendo in corso un programma di cooperazione nel settore dell’agricoltura, sembra completamente assente e priva di ogni intenzione ad intervenire a difesa dei numerosi europei ivi residenti. Il Sud Africa, che è stato sino a ieri il paese amico che ha stanziato finanziamenti ad oltranza per lo sviluppo dello Zimbabwe, da sabato scorso ha sospeso qualsiasi intervento e il presidente Emmerson Mnangagwa ieri ha comunicato che non sarà presente al Forum Economico di Davos dovendo rientrare d’urgenza in Zimbabwe.

Si è aperta forse una nuova fase di piena “dittatura” in quella terra che, per contro, qualche tempo fa era maggiormente nota come la Svizzera dell’Africa?

Aggiornato il 22 gennaio 2019 alle ore 16:26