La Siria di Assad: dal rischio dissoluzione alla “vittoria”

Riflettere sulle ragioni che hanno portato la Siria a sostenere anni di guerre devastanti su fronti diversi e mantenere il Presidente Bashar Hafiz al-Assad ancora al potere, non come avvenuto per Iraq e Libia con Saddam Hussein e Mu’ammar Gheddafi, può essere un esercizio di articolata analisi.

Bisogna ricordare che la Siria, dopo l’ufficiale dissoluzione dell’Impero Ottomano (1922) ed in applicazione del Sikes-Picot (1919), è posta sotto il Mandato francese; la Francia in una prima fase reprime le aspirazioni di indipendenza siriani, ottenuta poi nel 1936. La Siria sotto il Mandato, dal punto di vista sociologico-religioso, manifesta subito una caratteristica singolare: una forte presenza di gruppi di confessione Sciita e di corrente (setta) Alawita (fede con caratteristiche peculiari ed occulte), ai quali i transalpini dedicano particolare considerazione. Questi gruppi Alawiti assumono verso i francesi, un ruolo verosimilmente “collaborazionista” anche arruolandosi nelle milizie transalpine ivi presenti e operando segretamente nel procurare informazioni ed esercitando il controllo sui leader di confessione sunnita operanti in Siria, che consideravano gli Alawiti “iniziati ed eretici”.

Gli obiettivi degli Alawiti, data la loro vicinanza ai francesi, era quella di andare oltre l’autonomia, cioè verso la definizione di una indipendenza suggellata dalla concessione di un territorio, condizione concretizzatasi nel 1930 con l’assegnazione del governatorato di Latakia situato al confine con la Turchia. Tali aspirazioni furono possibili perché nella fase di rivolta, organizzata dalla Francia e dalla Gran Bretagna, del modo arabo contro quello che restava dell’Impero ottomano, prevalse la strategia francese di creare un’area vicino orientale basata sul Nazionalismo arabo, invece che la realizzazione di un area tendenzialmente Panaraba come era la visione britannica, progetto portato avanti ma non concluso anche da Thomas Edward Lawrence, detto Lawrence d’Arabia.

La creazione di un sistema geopolitico basato sul nazionalismo arabo diventa la “mappa e l’orientamento” da seguire, da parte dell’asse franco-britannico, che favorisce la nascita anche dell’Arabia Saudita, della dinastia Saud, come Stato contrappeso alla Turchia. Su queste basi si formano le prime alleanze, i legami, gli interessi ed i bilanciamenti geopolitici dell’“Asia Minore” o meglio della Mezzaluna Fertile, chiamata in arabo Mashreq, ovvero “dove sorge il sole”.

Politicamente la nascita, nel 1947, del partito Hizb al-Ba’th al-’arabī al-ishtirākī comunemente Ba’ht (Panarabo), Partito del Risorgimento socialista arabo, fondato dai damasceni Zuki al-Arzusi, Alawita, Michel Aflag, cristiano ortodosso e da Salah al-Din al-Bitar, musulmano sunnita, permette agli Alawiti di creare una corrente politica potente e influente all’interno della Siria. L’ascesa al potere, nel 1970 del generale Alawita Hafiz al-Assad, suggella il successo della cultura socialista panaraba baathista siriana che contribuirà a delimitare e consolidare quelle caratteristiche politiche e confessionali che tutt’oggi circoscrivono gli equilibri internazionali della Siria.

Le ribellioni in Siria nascono nel 2011 (sulla scia della “Primavera Araba”); detto fenomeno sociologico ha avuto un percorso conforme e prevedibile: parte da intellettuali che si oppongono al regime, segue poi l’annichilimento degli intellettuali a favore di gruppi di “opportunisti” e termina con la deriva che porta alla sopraffazione degli opportunisti a favore dei “terroristi”.

In detto ambito e nell’escalation di interessi trasversali, gli schieramenti degli oppositori al regime di Bashar Hafiz al-Assad (Alawita) si palesano con chiare posizioni: l’Arabia Saudita, la Turchia, il Quatar, i Salafiti e i Fratelli Musulmani con l’obiettivo, oltre quello di abbattere il regime di siriano anche, quello di contrastare la presenza Sciita in Siria e mirando all’applicazione della Sharia; gli Stati Uniti, la Francia e la Gran Bretagna, che sostengono in modo diverso i ribelli antigovernativi con obiettivi dissolutori, vedi Iraq e Libia; la Turchia che sostiene ogni tipologia di milizia purché indebolisca politicamente Assad comprese le milizie jihadiste.

Per contro, le alleanze pro Assad vedono: la Russia, che da decenni coopera in vari ambiti con la Siria, l’Iran che riconosce l’appartenenza allo sciismo dei governanti siriani e le milizie sciite irachene. Gli altri Stati dell’Unione europea hanno assunto posizioni ambigue mai in sintonia, escludendo la Germania che notoriamente opera nelle retrovie curde con logistica, armamenti e formazione militare.

In sostanza Assad, essendo stato individuato come terzo obiettivo nella destabilizzazione definitiva del Vicino Oriente, ha potuto mantenere il suo potere grazie prevalentemente a Putin a Rouhani e alla sua appartenenza alla corrente Alawita che compatta un buon venti per cento della popolazione siriana, dimostrando ancora una volta, dopo il 1947 (data di nascita del partito Bh’at), che laicismo e religione possono convivere nonostante che interessi economici, radicalismo religioso e terrorismo esasperato operino all’unisono. Israele formalmente non ha un ruolo definito in questo conflitto, anche se contende con la Siria le alture del Golan, agisce marginalmente con sporadici interventi militari in Siria, ma come ha dichiarato il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu a Putin “non sono contro Assad, ma nutro riserve nel suo complesso, visto che il gruppo libanese degli Hezbollah combatte a fianco dei governativi siriani, ma lanciano razzi dal sud del Libano per colpire obiettivi nel nord di Israele”; ritengo, tuttavia, che il “fronte” israeliano, è per Assad il confronto più delicato e difficile da gestire.

Va precisato, comunque, che ad oggi la Siria non è più il reale perno che determina la divisione degli schieramenti, ma il falso pretesto per geostrategie planetarie.

Aggiornato il 30 gennaio 2019 alle ore 11:02