Brexit: May implora unità Tory

“La storia ci giudicherà”: assume toni da ultima spiaggia l’appello con cui Theresa May si rivolge per lettera a tutti i deputati del gruppo conservatore (dopo essere stata messa per l’ennesima volta in minoranza giovedì a Westminster) implorandoli di non tradire il popolo elettore espressosi nel referendum del 2016 in favore della Brexit. E di aiutarla almeno in extremis a portare a casa il divorzio, ma un divorzio “ordinato” e concordato con Bruxelles. Il monito - o supplica, se si preferisce - è indirizzato uno per uno ai 317 rissosi parlamentari del suo partito ai Comuni, in primis a quelli delle correnti e delle frange ribelli. E vale pure per i 10 alleati unionisti nordirlandesi del Dup, stampella vitale d’una maggioranza tanto risicata quanto inaffidabile. Si tratta di un invito a mettere da parte i “punti di vista divergenti”: riesplosi platealmente giovedì, dopo una tregua durata nemmeno due settimane, nel voto (non vincolante e però indicativo) sull’annunciata strategia del tentativo di negoziato supplementare con l’Ue.

“La storia ci giudicherà tutti”, scrive la premier Tory, con accenti alla Churchill difficili in effetti da associare alla propria autorità attuale e al proprio carisma. Entrando nel merito, May si sofferma poi sulla ‘vexata quaestio’ del backstop, il meccanismo di salvaguardia del confine aperto post Brexit fra Irlanda e Irlanda del Nord che Bruxelles ha imposto e che il governo britannico sta ora cercando affannosamente di allontanare dall’orizzonte pressato dai falchi. Ma che sa di non poter cancellare del tutto, come ammesso ieri stesso alla Bbc dal ministro della Cultura, Jeremy Wright.

“Non pretendo di negare la sincerità e la profondità delle posizioni dai colleghi”, premette la seconda signora di Downing Street della storia. “Tuttavia - aggiunge - credo che occorra trovare un compromesso, necessario per far approvare in Parlamento un accordo sull’uscita” dall’Ue. Uscita che resta in calendario - salvo rinvii al momento non richiesti - per il 29 marzo. E che May torna a indicare come un dovere di fronte al mandato referendario, pena il rischio di “deludere il popolo, mettendo a rischio il futuro luminoso che esso merita”.

Un rischio su cui del resto anche l’epilogo di un traumatico divorzio senz’accordo dai 27 (no deal) - automatico se entro fine marzo non salterà fuori una qualche quadratura del cerchio (o uno slittamento) - proietta con riflessi sempre più sinistri sull’economia d’oltremanica. Come temono i laburisti - per quanto pure divisi al loro interno - il cui leader Jeremy Corbyn è atteso fra tre giorni a Bruxelles per tentare di mettere le basi d’un piano verso una Brexit più soft. Alternativo all’eventuale fallimento dello sforzo di Theresa May di ricompattare le file conservatrici e destinato ad essere approfondito coi negoziatori europei ormai parallelamente ai colloqui che il ministro Stephen Barclay riprenderà da oggi. Ma come soprattutto temono imprese, sindacati e non pochi consumatori: scossi giusto in queste ore dalle immagini di aerei e passeggeri lasciati a terra dal crac di una piccola compagnia regionale inglese, la Flybmi, finita in bancarotta secondo i vertici aziendali anche per “le incertezze della Brexit”. Prima tessera d’un possibile effetto domino.

Aggiornato il 18 febbraio 2019 alle ore 15:53