Il regime dello Scià è morto l’undici febbraio 1979. La nascita della Repubblica Islamica cesellata dall’ayatollah Rouhollah Khomeini, l’accigliato imam sciita esiliato dal 1964, sancisce l’inizio di una rivoluzione della quale, da tempo si scorgono alcune “crepe”. Il 1 febbraio 1979 all’aeroporto di Mehrabad atterra l’Air France Boeing 707 guidato dall’unico pilota disponibile a tale “missione”, il francese Jean Mouy. L’arrivo nella Monarchia Persiana dell’aereo della compagnia nazionale francese, inizia con la discesa di Khomeini dalle scale dell’aeromobile, seguito dal figlio e tenuto per mano da uno stewards (per molti anni si è creduto che ad accompagnare per mano il settantasettenne imam fosse il pilota transalpino), tale frangente mette nuovamente in risalto il teatrale ruolo del Governo francese in questa vicenda, nel ricordo degli eccellenti e redditizi, storici rapporti tra la Francia e l’autocrazia Pahlavide. Un volo lungo più di 4mila chilometri che ha attraversato Svizzera, Austria, Cecoslovacchia, Romania, Bulgaria e Turchia. Il ritorno di Khomeini nella ancora Monarchia Persiana, fu ritardato di alcuni giorni a causa della chiusura degli aeroporti ordinata da Chapur Bakhtiar rappresentante del governo ufficiale e nominato reggente dallo Scià Reza Pahlavi in quel drammatico momento nel quale il Sovrano si era rifugiato in Egitto.

 Khomeini torna nella sua patria, dopo un lungo esilio ed un lungo peregrinare: allontanato dall’Iran per l’opposizione al regime e per le sue critiche alle leggi anti-clero, dopo una breve permanenza in Turchia si trasferisce in Iraq, dove vive quattordici anni prima di essere cacciato (anche da li), si rifugia in fine in Francia (non senza qualche perplessità da parte del presidente Valéry Giscard d’Estaing ) a Neauphle-le-Château, a 40 chilometri a ovest di Parigi; resterà dall’8 ottobre 1978 al 31 gennaio 1979, il giorno dopo sarà a Teheran. Ma più che il ritorno di Khomeini nella ancora Monarchia Persiana, sarà l’arrivo della religione nella ormai Repubblica islamica Khomeinista. Tutta l’impostazione, pseudo laicista, pseudo liberale pseudo socialista ed a volte con la presenza di sfumature pseudo marxiste, sviluppatesi nel XX secolo nella Monarchia Pahkavide, viene spazzata via con l’introduzione della sharia e con la messa al bando di tutte le pseudo libertà acquisite dagli ex sudditi persiani. Quello che vive oggi l’Iran è il frutto delle innumerevoli proibizioni imposte immediatamente dopo la fine della neopatrimoniale Monarchia: furono gettate nelle fogne tonnellate di vodka, vino, champagne, furono chiuse tutte le attività legate alla produzione, al commercio ed al consumo di alcolici ed ogni forma di lavoro contrastante con il diritto islamico; anche i parrucchieri per signore furono costretti a chiudere i loro negozi perché la manualità che un acconciatore uomo esercitata sulla capigliatura di una cliente veniva (e viene tutt’oggi) considerata fornicazione; solo a Teheran cessarono l’attività quasi trecento “coiffeur pour dame”. Molto altro fu ed è impedito; negli Stati sunniti frequentemente si elaborano normative giuridiche che derogano ai dettami della sharia, in molti di questi Paesi le Corti islamiche non agiscono; nella sfera sciita iraniana questo non avviene, contrariamente a quanto si verifica nella corrente alawita legata allo sciismo (Siria). La Corte, presieduta dal giudice Mohammad Moghise, che ha giudicato l’avvocata iraniana Nasrin Sotoudeh, l’ha condannata a cinque anni di prigione per “ ribellione contro il regime” e a due anni di prigione per “aver insultato il capo supremo”, tale informazione è riportata dalla agenzia Isna, ma il marito di Nasrin dichiara che ci sono state altre pene addebitate all’attivista riguardanti soprattutto accuse per coraggiose rivendicazione dei diritti umani e poco diffuse dalla stampa iraniana, ma che portano la detenzione a 38 anni e alla pena corporale di 148 frustate da infliggere in più “sedute” distribuite nel tempo.  

Ma non c’è solo Nasrin, anche la martinicana cinquantanovenne capo di una azienda, Nelly Erin-Cambervelle, è detenuta da ottobre in un carcere iraniano; si era recata in Iran per valutare l’acquisto di minerali, è stata sospettata e accusata di spionaggio. Il Quai d’Orsay, residenza del Ministero degli Esteri francese, dichiara che risulta in buona salute, ma ovviamente è quanto viene permesso di dire (e quanto viene riportato dalla stampa francese anche per non danneggiare ulteriormente la detenuta), e di sapere. Analizzando solo questi due fatti si possono sintetizzare alcune riflessioni: una è che le “crepe” del Regime, anche se energicamente occultate, non possono non essere percepite da una popolazione di una fascia di età che ricorda il periodo dello Scià ed una che conosce l’esistenza di una rete di comunicazione planetaria, ma che subisce una “cappa di piombo” su internet e che ufficialmente è impossibilitata ad interagire; l’altro è il tipico terrore dei “regimi autoritari esausti”, che vedono il nemico in tutto ciò che è alieno al loro ristretto entourage e devono gestire, con sospetto maniacale, un contesto sociologico tendenzialmente “stremato”; ma “nulla potentia perpetuo manent”.

 Grandi interessi orbitavano intorno alla Monarchia dello Scià, anche il trentaduenne brillante imprenditore, miliardario hollywoodiano, Donald Trump, accompagnato da Warren Beatty e Jack Nicholson, nel 1978 aveva progetti e programmi di ingenti investimenti in Persia, specificatamente nel Nord: Casinò, affari e piaceri, oggi a distanza di 41 anni ritroviamo il settantatreenne Presidente degli Stati Uniti Donald Trump che dedica “molta attenzione” alla Repubblica islamica del presidente Hassan Rouhani, con interessi e programmi diversi, ma che ugualmente prevedono grossi investimenti e diversi “piaceri”. Ma per la Repubblica islamica l’Occidente è ancora il nemico numero uno, o forse il governo iraniano dovrà guardare dentro se stesso?

Aggiornato il 15 marzo 2019 alle ore 11:59