Lo sbarco sulla duna

Ipotesi del blocco navale libico. La vogliamo proprio scartare? Non sono infondate le ipotesi secondo cui potremmo trovarci addosso decine di migliaia di richiedenti asilo a causa della nuova guerra libica.

Negli ultimi giorni sarebbero stati numerosi gli strali che i componenti del Governo si sarebbero lanciati, più o meno velati, riguardo agli oltre 800mila sfollati libici previsti: il ministro della Difesa Elisabetta Trenta ha confermato che “chi scappa è un rifugiato”, mentre il ministro dell’Interno e vicepremier Matteo Salvini ha ribadito che “i porti restano chiusi”. I due ministri si lanciano l’argomento come a ping-pong, mentre sugli italiani cala lo spettro del rifugiato impolitico. In Libia le forze militari governative di Fayez al-Sarraj e quelle del generale ribelle Khalifa Haftar si scontrano. Con l’inasprirsi del conflitto ogni uomo, donna, bambino che cercherà di fuggire dalla guerra dovrà essere considerato un essere umano da accogliere.

A questo punto, onde evitare un’ulteriore carneficina, nel caso in cui le forze governative non riusciranno a sedare gli animi – e le armi – dei ribelli, sorge una domanda: non sarebbe opportuno che l’Italia, quale approdo territoriale più vicino alla Libia (con l’ausilio simbolico di Malta) si prenda l’alta responsabilità di far partire il battaglione San Marco ed i nostri cacciatorpedinieri per la Libia? Ciò non verrà visto – o non dovrebbe essere visto – come un’invasione, bensì, come l’accordo con un governo in carica (libico) che, minacciato, si farebbe scudo dell’aiuto militare italiano in una missione di pace tempestiva. Questo porterebbe due risultati: il primo, le forze ribelli comprenderebbero che non è più possibile destabilizzare una repubblica africana, il secondo, eviterebbe che migliaia di migranti in cerca di aiuto si riversino sulle coste italiane. Ma questo, bisogna precisarlo, dovrebbe essere fatto soltanto dall’Italia, poiché siamo noi i più vicini al teatro del conflitto, e perché sicuramente l’Onu cercherà di temporeggiare. Fin quando sarà troppo tardi. Il blocco navale libico da parte dell’Italia non pare tuttavia un’opzione praticabile fin quando i vertici della Difesa, ed alcuni dell’attuale governo, avranno un atteggiamento tentennante riguardo le scelte in politica estera. La prudenza è un’arte diplomatica, ma in politica bisogna essere rapidi e coraggiosi, anziché optare per vetusti atteggiamenti compromissori che non trovano più il favore dei tempi attuali, e nemmeno trovano personaggi la cui levatura possa debitamente incarnarli. Partire o non partire?

C’è da sperare che né parte del governo né l’intera opposizione pensino di poter decretare la fine mediatica – e politica – di Matteo Salvini utilizzando un’ondata di rifugiati senza precedenti che, di fatto, oltre ad essere un’immane tragedia, decreterebbe il fallimento della politica salviniana. Ci auguriamo, quindi, e null’altro possiamo fare, che in alto loco non intendano giocare a Risiko sulla vita della povera gente. E nella “povera gente” includo anche gli italiani.

Aggiornato il 18 aprile 2019 alle ore 11:04