Sri Lanka, cresce il timore di nuovi attentati

“Ci sono ancora terroristi liberi, è stata catturata solo la prima cellula, non si può dire che siamo al cento per cento sicuri”: a parlare è il cardinale di Colombo, Alberto Malcolm Ranjith, che si è fatto portavoce dell’apprensione che si vive ancora in Sri Lanka dopo gli attentati di Pasqua che hanno provocato la morte di oltre 250 persone. Il Cardinale ha incontrato la stampa italiana nell’ambito della missione nel Paese asiatico della fondazione pontificia “Aiuto alla Chiesa che Soffre”. La paura è diffusa anche perché l’esercito presidia punti strategici, dalle scuole all’aeroporto, dalle chiese già colpite ad arcivescovado e Nunziatura a Colombo, la capitale, ma nel resto del Paese non sembra esserci la stessa presenza da parte delle forze di sicurezza, e quindi del governo. A Chilaw è presidiato solo il palazzo del vescovo, ad Anuradhapura neanche quello. E anche il Nunzio, mons. Pierre Nguyen Van Tot, dice senza tanti giri di parole che è “lo stesso governo a dire che sono stati arrestati il 99 per cento degli autori delle stragi. E l’uno per cento dov’è?”.

Tra l’altro il Paese è un’isola e il timore che qualche radicalizzato sia tuttora in Sri Lanka e possa riorganizzarsi è diffuso. Il governo, che soffre già di per sé per le tensioni tra presidente e primo ministro, è da un mese ancora più debole. Il turismo, una delle principali attività economiche del Paese, è in ginocchio. Vuoti gli alberghi e sugli aerei verso e da Colombo gli occidentali sono davvero pochi. Alle tensioni si aggiungono dunque anche le tante persone che stanno rimanendo senza lavoro. La comunità cristiana sente poi tutte le contraddizioni della politica: da una parte la corsa a ricostruire le tre chiese distrutte, con lo Stato che per questo sta facendo lavorare giorno e notte gli uomini della Marina militare e si è fatto carico di tutte le spese; dall’altra “le rappresaglie contro alcune attività commerciali dei musulmani che vengono attribuite ai cristiani ma in realtà gli autori sono piccoli gruppi politici che hanno scopi solo politici visto che a breve ci saranno le elezioni”, afferma il cardinale di Colombo.

Il direttore di Acs-Italia, Alessandro Monteduro, concorda: “Qui ci siamo fatti l’idea che le bombe di Pasqua possano essere state un piano non isolato. Abbiamo raccolto confidenze su tensioni che potrebbero attraversare con gesti altrettanto cruenti i prossimi mesi di campagna elettorale”. Con uno sguardo più complessivo, il direttore della fondazione pontificia fa notare come d’altronde “la furia del terrorismo islamico si stia spostando dal Medio Oriente al Sud Est asiatico e all’Africa occidentale”. Il cardinale riferisce ancora che un anno fa erano state arrestati fondamentalisti islamici sospettati di preparare un attentato “ma poi sono stati liberati per soddisfare le richieste di Ginevra che chiedeva il rispetto dei diritti umani” e dunque carcerazioni preventive non lunghe. L’arcivescovo di Colombo dice senza mezzi termini che la comunità cristiana è “arrabbiata” con il governo per avere sottovalutato tutte le allerte. Più con il governo che con i musulmani “che non possono essere identificati tutti con questi terroristi”. Poi Ranjith racconta dell’incontro con l’imam con il quale - dice - “abbiamo pianto insieme”. Per l’autorevolezza con la quale il cardinale di Colombo sta gestendo da un mese una situazione che era del tutto inattesa, cercando di pacificare gli animi della sua comunità, qualcuno in Sri Lanka sta pensando di candidarlo al Premio Nobel per la pace. Ma lui, nel sentire questo, taglia corto: “Io non sto lavorando per il Nobel ma per Gesù Cristo”.

Aggiornato il 22 maggio 2019 alle ore 13:40