Mali: una polveriera etnica infiammata dal jihadismo

Nella complessità dell’articolato “sistema” sociale africano, la Repubblica del Mali assume una connotazione peculiare, identificandosi come un’area nella quale i contrasti etnici sono l’elemento che contraddistingue lo squilibrio nazionale, ma dove l’influenza religiosa ne esalta le caratteristiche. La strage e la distruzione di un villaggio abitato dall’etnia “Dogon” (popolo inavvicinabile, mitologico, misterioso e animista, che si dichiara “proveniente delle stelle”), avvenuta il 10 di giugno scorso, è stato solo l’ultimo “genocidio” a carico di una specifica etnia. Tale violenza non è stata causata da interessi economici, nemmeno da specifiche “questioni di confine” o da ambizioni di un’elite di potere, ma dalla tendenza alla sopraffazione “tribale” che trae le sue radici nella seconda metà del XIX secolo, quando il colonialismo francese penetrò in questa multiforme ma tendenzialmente equilibrata società. La regione dell’attuale Mali, dopo la colonizzazione francese, subisce una serie di trasformazioni del suo perimetro, drammaticamente tracciato con “riga e squadra”, inosservante di quella atavica divisione etnica che “naturalmente” aveva organizzato queste antiche comunità.

Ottenuta l’indipendenza dalla Francia nel 1960, il Mali che fino ad allora si chiamava Sudan francese, ha vissuto avvicendamenti di governo quasi esclusivamente tramite colpi di stato militari; essenzialmente, ricordo l’ultima grave situazione politica che ha colpito lo Stato africano, quando i ribelli Tuareg del Mali, di religione islamica, tra il 2012 ed il 2013, dichiararono l’indipendenza della parte nord orientale del Paese chiamata Azawad e stabilirono la capitale a Gao. Fu un evento di considerevole importanza politica, anche degna di attenzione internazionale, ma non inaspettato, che produsse anche l’acuirsi di una serie di conflitti che misero nella galassia delle tensioni, rivalse etniche, tradizioni antropologiche e mitologiche, credo religioso e volontà di applicazione della sharia. Al fine di poter analizzare perché uomini, equipaggiati con armi non di scarto, appartenenti all’etnia Fulani (uno dei più numerosi gruppi etnici maliani la cui maggioranza vive in Nigeria, ma sono presenti anche in  Guinea, Niger, Camerun, Ciad e Sudan), abbiano fatto strage e commesso atrocità ai danni di più di cento civili dell’etnia Dogon, bisogna contestualizzare il tragico fatto dandone una lettura sia a carattere “interno” che “esterno” al Mali e che la sua analisi non può essere fatta solo sull’accaduto. Va menzionato che i Fulani, appartengono ad un’etnia nomade dell'Africa Occidentale ed hanno la caratteristica specifica, come i Tuareg, di essere di religione islamica, infatti, ebbero un ruolo decisivo nell'introduzione e diffusione dell’islam in Africa occidentale che causò, tra il 1600 e la fine del 1900, una serie di guerre religiose contro i gruppi etnici con caratteristiche animiste come i Sarakolé, Senufo, i Bambara e i Dogon, solo citando i più numerosi e noti.

Le croniche tensioni presenti in questa area ed in quella centro-nord africana in generale, richiamano gli enormi errori strategici che gli Stati europei hanno commesso, sia con la Conferenza di Berlino, del 1884-1885, nella quale i colonizzatori si spartirono “ufficialmente” la  “torta africana”, sia con la ripartizione delle aree di interesse dopo la fine delle Guerre Mondiali. L’avere disegnato i confini di Stati, precedentemente inesistenti, con strumenti e mentalità geometriche, invece che su base “etnico-sociologica”, sommato alla disattenzione delle esigenze di cui il popolo africano necessitava e non valutando il danno che una riga di confine tracciata sulla mappa avrebbe comportato, sono la causa e la dimostrazione dell’effetto, che l’interferenza europea ha prodotto su territori abitati da una pluralità di etnie con antiche e peculiari caratteristiche.

Mahamat Saleh Annadif, il capo della Missione delle Nazioni Unite in Mali (Minusma), alcuni giorni fa, ha relazionato, nella sede delle Nazioni Unite a New York, su quanto sta accadendo in Mali, definendo “una tragedia” le uccisioni causate dalla etnia Fulani ai danni della etnia Dogon, ricordando che segue ad un'altra strage perpetrata dai “cacciatori Dogon”, nel marzo 2019, ai danni dell’etnia Fulani nel villaggio di Ogossagou. Va tuttavia rammentato che, oltre all’annichilimento degli ormai indefinibili “spazi vitali” (causato dalla colonizzazione), che avrebbero garantito una moderata sicurezza tra le varie etnie, nel 2015, il gruppo jihadista del predicatore Amadou Koufa, ha reclutato miliziani soprattutto nell’etnia dei Fulani; tale indottrinamento, attuato su una società semplice essenzialmente dedita alla pastorizia, ha immediatamente causato gravi frizioni e confusione con gruppi etnici generalmente animisti come i Dogon (che rispettano l'Islam ma lo rifiutano) e i Bambara, tradizionalmente contadini.

Come riportano le testimonianze, i terroristi equipaggiati con armi che verosimilmente hanno provenienza libica (i Fulani sono alleati dei Tuareg che erano assoldati nell’esercito di Gheddafi), hanno attaccato il pacifico villaggio di Sobame Da, conosciuto anche come  Sobane-Kou, nel comune di Sangha, nella regione di Mopti, causando oltre che i già citati più di cento morti anche un numero elevato di dispersi e la distruzione degli “elementi” di stanzialità dei Dogon. Da questa breve analisi, ovviamente non esaustiva per questioni di spazio, possiamo notare che nella “polveriera africana” gli ingredienti per una cronica destabilizzazione ci sono tutti: la miscela composta da “sviste” e spregiudicatezze di matrice europea, con le tensioni etniche influenzate dal jihadismo ed il  contagio dalle crisi politiche magrebine, hanno creato una “miccia sociologica” funesta, che rende di “interesse globale” anche la strage avvenuta in un’area desertica del Sahel. Tale situazione rende, probabilmente, l’impegno alla pacificazione profuso del presidente del Mali, Ibrahim Boubacar Keita, come uno sforzo fuori sia dalla sua portata che da quella della suo Stato.  

Aggiornato il 18 giugno 2019 alle ore 09:53