Brexit, Johnson “sfida” la Corte Suprema

La Corte Suprema britannica ha detto “no” alla sospensione del Parlamento fino al 14 ottobre. Ma Boris Johnson, che si trova a New York per l’assemblea generale dell’Onu, non si è dimesso. Come ampiamente annunciato, il premier ritiene che le ragioni “addotte dal governo per sospendere i lavori delle Camere per un periodo prolungato restino davvero molto buone. E, come dice attualmente la legge, il Regno Unito lascerà la Ue il 31 ottobre, qualsiasi cosa accada”.

Per la Corte, “la sospensione è illegale, nulla e priva di effetti”. È come se il Parlamento non fosse “mai stato prorogato”. Ora gli speaker della Camera dei Comuni e dei Lord hanno il potere di riconvocare le Camere quanto prima e dichiarando l’advice del premier alla regina immotivato e inaccettabile in termini di limitazione di sovranità e poteri di controllo parlamentari. Nel verdetto letto dalla presidente lady Brenda Hale, viene sostenuto che “gli effetti sulla nostra democrazia sono stati estremi”.

In ogni caso, Johnson non ha escluso la possibilità di riproporre la “proprogation” con un nuovo atto, in forma giuridica diversa. E ha insistito che il Parlamento avrà “un sacco di tempo per valutare il deal sulla Brexit che egli spera di poter raggiungere entro il Consiglio Europeo del 17-18 ottobre anche tornando a riunirsi il 14”.

Lo speaker della Camera dei Comuni John Bercow ha immediatamente riconvocato tutti i deputati per domani. Bercow ha precisato che si tratta di una “ripresa” dei lavori e non di una “riconvocazione”.

Frattanto, Jeremy Corbyn ha chiesto, invano, le dimissioni del premier. A margine del congresso del Labour a Brighton, il leader dell’opposizione parlamentare a Westminster, ha parlato di un verdetto “storico” che certifica “il disprezzo del Parlamento” di Johnson.

Aggiornato il 24 settembre 2019 alle ore 17:53