La Libia: un nuovo “fronte” turco-egiziano

La Libia si presenta sempre di più come un campo di battaglia “globale”. Gli ultimi eventi incentrano l’attenzione sul ruolo della Russia e della Turchia offuscando apparentemente, le “azioni” delle diplomazie sia europee che arabe. Alcune “diplomazie”, anche “vicine”, si sforzano a “comparire” in vari contesti internazionali, creando imbarazzo soprattutto a chi analizza di mestiere la geopolitica, altre senza preservare le apparenze, manifestano le loro posizioni con varie modalità e con atteggiamenti spesso diplomaticamente spregiudicati, altre ancora agiscono nei labirinti negoziatori riscuotendo efficace effetto.  La minaccia di Erdogan di “dare una lezione” ad Haftar nel caso indugiasse nel non sottoscrivere l’accordo (ritiro dalle postazioni occupate di Salaheddine e Ain Zara a Tripoli) proposto a Mosca il 14 gennaio, già siglato da Sarraj, può essere letta non tanto come “consapevolezza turca di autorità e potere”, ma meglio come un “doping politico” del Presidente turco, anche alla luce della profonda crisi di credibilità che ha in patria.

 Tuttavia la diplomazia italiana da tempo palesa, “opinabilmente”, una vicinanza poco strategica ma politicamente condizionata, a Sarraj (sostenuto dalle Nazioni Unite) e conseguentemente una poco utile “distanza” da Haftar, ma soprattutto dai suoi “importanti ed influenti” alleati. L’incontro richiesto e concesso da Erdogan al capo dell’Esecutivo italiano a Istanbul, alcuni giorni fa, ha oltre che demarcato ulteriormente i delicati “confini diplomatici”, esaltato l’egocentrismo politico del Presidente turco. In questo contesto di “trasversalità di ipotetiche alleanze”, l’antagonismo tra Recep Tayyip Erdogan ed il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sissi, viene maggiormente rinvigorito, condizionando direttamente anche i già deboli rapporti italo-egiziani.

Quando a settembre 2019 il presidente degli Stati Uniti Donald Trump, a margine dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, chiamò ad una conviviale diplomatica i suoi omologhi turchi ed egiziani, Erdogan rifiutò decisamente l’incontro facendo comunicare, dal proprio addetto stampa, che declinava l’invito non per una ostilità verso Washington ma perché non intendeva farsi fotografare con al-Sissi.

 La causa dell’alto “livello di ostilità” di Erdogan verso al-Sissi è di notevole “valore politico” e risale a luglio del 2013 quando il Presidente egiziano di allora Mohamed Morsi, fu deposto “dall’esercito egiziano”; Mohamed Morsi ed i suoi Fratelli Musulmani erano alleati di Ankara. A giugno durante il funerale di  Morsi,  Erdogan non ha esitato a indicarlo come "un martire", manifestando come principale artefice della sua deposizione al-Sissi, che oggi ritrova sul territorio libico in un altro nuovo “confronto”.

Khalifa Haftar è soprannominato dai suoi detrattori "il Sissi libico" ed è sostenuto dal Presidente egiziano con il quale condivide la stessa concezione del potere militare e la strategica opposizione ai Fratelli Musulmani. Abdel Fattah al-Sissi sostiene robustamente la stabilizzazione del confinante Paese in vista di una stretta cooperazione che riesumerebbe, geograficamente, una parte di quella idea di   “panarabismo” nata al “capezzale” dell’Impero Ottomano (1916) e molto probabilmente oggi fondamentale per il futuro riassetto del Vicino oriente e per  i futuri equilibri Centro nord africani ed europei.

Anche in queste ore il Presidente egiziano sta rafforzando e confermando il suo “indirizzo politico” a sostegno di Haftar in questa delicata fase negoziale e se prima dell’intervento turco in Tripolitania gli sforzi erano concentrati per combattere il terrorismo semi organizzato e le milizie estremiste al fine di  garantire sicurezza e stabilità ai cittadini libici, da oggi gli impegni egiziani potrebbero essere anche contro le milizie mercenarie siriane assoldate dalla Turchia, da alcune ore presenti a Tripoli. Tuttavia “l’esuberanza” turca non avrà di fronte i soldati Curdi come avvenuto i primi di novembre dove l’esercito turco, sostenuto da milizie filo-jihadiste, ha sbaragliato i pochi combattenti che si sono immolati per la difesa del Kurdistan siriano, ma un imponente “sistema” di guerrieri composto da mercenari “Wagner”, soldati egiziani ed esercito cirenaico, oltre che varie tribù del Fezzan vicine anche a Saadi Gheddafi; un rischio per il Presidente turco che, ovviamente, non potrà contare che sull’esercito tripolino armato da tutti ma stanco e poco motivato.   

In attesa del “congresso di Berlino” (sul quale si adombra fallimento) di domenica prossima, l’opposizione del Parlamento turco sostiene che l’intervento potrebbe peggiorare la “regione” e trascinare la Turchia in un nuovo pantano, peggiorando i conflitti fratricidi che hanno distrutto quel paese dalla caduta del regime di Muammar Gheddafi del 2011 e che sono nutriti da potenze regionali antagoniste. A livello “regionale”  l’area libica è diventata lo scenario dove si consuma una lotta di potere tra due campi: da un lato, l'Arabia Saudita, gli Emirati Arabi Uniti e l’Egitto, che supportano le forze del maresciallo Haftar e dall’altro la Turchia ed il Qatar, che sostengono il GNA di Tripoli.

Aggiornato il 17 gennaio 2020 alle ore 12:26