Assange: Appello dei parlamentari al premier australiano

I parlamentari australiani si mobilitano contro l’estradizione di Julian Assange negli Stati Uniti. Il deputato indipendente Andrew Wilkie, che ha incontrato il giornalista e attivista australiano in carcere a Londra la settimana scorsa, con una delegazione parlamentare australiana, ha puntato il dito contro le azioni di spionaggio “immorali e illegali” di cui è stato vittima Assange.

“La rivelazione secondo cui venivano segretamente registrati i colloqui riservati di Julian Assange con i suoi legali australiani quando era rifugiato nell'ambasciata dell'Ecuador a Londra – sostiene Wilkie – dovrebbe imporre ai tribunali britannici di respingere ogni richiesta di estradizione negli Usa”. Secondo il deputato, “da sole dovrebbero essere prove sufficienti per rifiutare l’estradizione”. Wilkie ha rinnovato l’appello al primo ministro conservatore Scott Morrison, a nome della delegazione, a intervenire sul governo britannico perché respinga la richiesta di Washington.

Il fondatore di Wikileaks, 48 anni, che è cittadino australiano, in Usa dovrebbe affrontare varie accuse di spionaggio, passibili di condanne a vita, per la pubblicazione di centinaia di migliaia di documenti riservati. Assange è inseguito da Washington fin dal 2010, a causa della pubblicazione di una caterva di documenti imbarazzanti per le forze armate e la diplomazia americane, a iniziare da quelli sottratti dagli archivi del Pentagono dalla whistleblower Chelsea Manning. L’iter della giustizia britannica durerà diversi mesi.

Un’azienda spagnola di sicurezza è sotto indagine, accusata di aver spiato su Assange mentre viveva nell’ambasciata ecuadoriana, passando a enti Usa di intelligence centinaia di ore di registrazione e altri dati. “Se la corte britannica non abbandona il procedimento alla luce di queste rivelazioni, mette in dubbio la sua neutralità. Si aggiungerebbe un’estrema ingiustizia a quelle che Julian continua a subire”, ha aggiunto Wilkie. Un portavoce del Dipartimento Affari Esteri e Commercio ha dichiarato che “il governo australiano ha chiesto rassicurazioni alle autorità britanniche sul trattamento del signor Assange”.

Intanto, è iniziato oggi dinanzi alla Woolwich Crown Court, alla periferia di Londra, il processo di primo grado sulla controversa richiesta di estradizione del giornalista. Al momento sono previste 5 udienze, fino al 28 febbraio e poi la conclusione a maggio. Alla fine ci sarà una sentenza appellabile con una decisione ultima attesa verso fine 2020. Assange è presente all’udienza di oggi: di fronte alla giudice Vanessa Baraitser è apparso vestito di grigio. Folto il pubblico dei sostenitori fuori e dentro l’aula, incluso suo padre John Shipton. La giornata di oggi è riservata all’introduzione dell’avvocato John Lewis, che rappresenta le autorità Usa, chiamato a sintetizzare le “ragioni” della richiesta di estradizione. Il governo conservatore di Londra ha già fatto sapere di essere pronto a consegnare l’attivista australiano a Washington, malgrado le proteste e le denunce, ma ha bisogno del visto giudiziario.

Il fondatore di Wikileaks, arrestato l’anno scorso dopo essersi visto revocare l’asilo che aveva avuto per oltre 6 anni nell’ambasciata ecuadoriana di Londra, è intanto destinato a restare detenuto nel carcere di massima sicurezza di Belmarsh, pur avendo finito di scontare l’unica pena inflittagli nel Regno, per aver violato nel 2012 i termini della cauzione quando era sotto inchiesta per una contestata accusa di violenza sessuale avanzata contro di lui in Svezia e poi archiviata. Additato dagli avversari come un hacker – e negli ultimi anni sospettato pure di rapporti opachi con la Russia – Assange è difeso invece da numerosi attivisti (ma anche dai vertici dell’opposizione laburista britannica) come vittima di “una persecuzione politica” e contro la libertà d’informazione: contro l’estradizione si sono pronunciati in una petizione oltre 1000 giornalisti di tutto il mondo, Amnesty International e una commissione di esperti Onu dei diritti umani che ne ha denunciato la detenzione protratta come una forma di “tortura”.

Sulla stessa lunghezza d’onda alcuni deputati australiani, vari artisti e 117 medici firmatari di un appello pubblicato dal prestigioso Lancet in cui si sottolineano le sue allarmanti condizioni fisiche e psicologiche; mentre il padre, giunto a Londra nei giorni scorsi, ha parlato dell’eventuale consegna di Julian oltreoceano come una “condanna a morte” di fatto. John McDonnell, cancelliere dello Scacchiere ombra del Labour e braccio destro di Jeremy Corbyn ha avanzato da parte sua un paragone col caso Dreyfus nella Francia antisemita dell’800. E ha denunciato il ricorso degli Usa per la prima volta ad accuse di spionaggio per la diffusione di materiale d’interesse pubblico attraverso giornali e media, per di più nei confronti di un civile straniero, come una vendetta contro le rivelazioni su “crimini di guerra” in Iraq e Afghanistan. Sul caso pesano infine le accuse recenti di un avvocato di Assange sul presunto baratto che Donald Trump – il quale nega – avrebbe offerto al fondatore di Wikileaks, promettendo la grazia in cambio di una smentita dei sospetti sul cosiddetto Russiagate: cosa che, se avvalorata, metterebbe in dubbio la credibilità del sistema giudiziario Usa sul dossier dell’estradizione.

 

 

Aggiornato il 24 febbraio 2020 alle ore 15:16