Egitto e coronavirus: la latitanza degli aiuti

Analizzando gli effetti del coronavirus nel mondo si riscontrano alcune diversità, ma anche molte similitudini tra i vari continenti e Stati. Dei Paesi più sviluppati, dal punto di vista politico, si nota una omogeneità di reazione: si ha una fisiologica tendenza all’accentramento del “potere” centrale, mentre a livello locale si cercano soluzioni regionali. In una società come la nostra si scorge un lento e delicato passaggio da una “democrazia frammentata” dovuta all’“influenza” europea, ad una “oclocrazia” (potere della massa), anch’essa sociologicamente e storicamente congruente con la fase storica.

Di autore anonimo (ma alcuni attribuiscono il merito al filosofo e giornalista francese Jean d’Ormesson, 1925-2017), è il merito di avere coniato, per questo periodo storico il termine di “inettocrazia”, che spiega un sistema di governo nel quale amministrano i meno preparati; tuttavia potremmo immaginare che l’inettocrazia potrebbe essere un frutto della oclocrazia, che teoricamente esclude l’élite culturale ed etica dalla “guida” di una società, appunto favorendo la massa più facilmente impreparata. Tra i Paesi sviluppati e meno sviluppati esistono molte similitudini circa i metodi di come affrontare o non affrontare l’emarginazione sociale creata dalla pandemia, letta come crisi umanitaria, soprattutto nelle fasce sociali più fragili e con qualsiasi forma di governo; è quel che accade alla enorme quantità di migranti che nelle nostre città hanno trovato collocazione nei servizi alla persona, come badanti o inservienti vari, o nel piccolo commercio e che a causa della pandemia hanno perso le loro fragili certezze. Come vediamo nei Paesi sviluppati questa è un’emergenza, ma cosi è anche in stati meno organizzati come in Egitto, dove la pandemia sta creando un’importante crisi tra i rifugiati soprattutto sudanesi che vivono e operano nella stato nord africano.

In Egitto, attualmente, degli oltre 183mila richiedenti asilo e rifugiati registrati dall’Unhcr (Alto Commissario per i Rifugiati), quasi 26mila provengono dal Sudan. Il 95 per cento dei sudanesi sono di religione musulmana; le donne prestano il loro servizio soprattutto nell’ambito familiare egiziano, generalmente come donne delle pulizie o assistenza; da marzo, nessuna famiglia egiziana accetta più una governante in casa per paura del contagio, quindi tutte le lavoratrici, che usualmente operano senza contratto, sono state licenziate. Senza risorse economiche non hanno nemmeno la possibilità di pagarsi l’affitto, che normalmente si aggira sulle 1000 e quattrocento sterline egiziane, 82 euro, che equivale ad uno stipendio medio basso di un dipendente pubblico. Per l’approvvigionamento alimentare si fa riferimento alle reti di solidarietà organizzate dalla comunità sudanese, in altri casi le confraternite religiose contribuiscono con aiuti alimentari, ma sono appena sufficienti per la sopravvivenza. Nel 2015 la comunità sudanese ha creato al Cairo un centro di accoglienza per i connazionali, e da fonte Afp (Agence France Press), risulta che 600 nuove famiglie, da marzo, hanno fatto richiesta di aiuto, sia alimentare che abitativo. Oltre ai sudanesi fanno riferimento a questo centro di accoglienza anche eritrei e somali; i bisognosi vengono allocati in piccole stanze sovraffollate, ai quali vengono dati pacchi alimentari contenenti un kg di riso, due kg di farina, olio, tè e zucchero, tali approvvigionamenti sono finanziati con fondi provenienti dal Sudan e dalla comunità imprenditoriale sudanese affermata in loco, che provvede anche all’acquisto di medicinali.

Secondo la legge egiziana, i migranti non hanno accesso ai servizi pubblici e non possono lavorare nell’economia formale, tuttavia, i settori non formali dove lavorano specialmente le donne, pulizie, parrucchieri o venditori ambulanti, sono stati, come in occidente, devastati, perdendo tutto ed in totale assenza di diritti. In questa situazione è la donna emigrata che subisce i maggiori disagi. Con oltre 3 milioni di residenti, secondo le stime delle Ong, i sudanesi rappresentano la più grande comunità straniera in Egitto, grazie ad una legislazione dei primi anni Ottanta del secolo scorso, che rendeva straordinariamente facile l’ingresso nel Paese ed automaticamente conferiva lo status di residente permanente ai migranti sudanesi; di essi attualmente solo 21mila sono registrati come rifugiati presso l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) e possono quindi beneficiare dei servizi offerti. In questa fase di obbligata distanza sociale, anche il centro di assistenza del Dipartimento delle Comunicazioni dell’Unhcr, ha dovuto interrompere i contatti in “presenza fisica”, sostituendoli con contatti telefonici, riuscendo comunque, tra notevoli difficoltà, a fornire una momentanea assistenza finanziaria a 15mila rifugiati.

Inoltre, il Programma alimentare delle Nazioni Unite ha triplicato il numero di assegni, venti euro mensili, donati a circa 12mila donne rifugiate in gravidanza e alle madri di bambini piccoli, rispetto alle 4mila di alcuni mesi fa. Come era prevedibile il periodo drammatico ed angoscioso per molte donne rimaste senza lavoro, casa e cibo, ha favorito lo svilupparsi di casi di ricatti ed estorsioni, i più frequenti sono quelli a carattere sessuale esercitati da spregiudicati cittadini, che propongono la “monetizzazione del sesso” in cambio di un loro aiuto. Una situazione tutt’altro che isolata secondo varie testimonianze di donne costrette a prostituirsi in cambio di piccoli sussidi. Per molte famiglie e donne sole l’urgenza è trovare un rifugio coperto e sicuro. Circa sessanta famiglie, sfrattate dal loro proprietario, hanno potuto essere trasferite grazie alla mobilitazione del centro di assistenza organizzato dai sudanesi, rivelando una latitanza dello Stato.

Da questa breve osservazione risulta che il problema maggiore è l’impossibilità di fare fronte all’affitto di una abitazione e quindi subire uno sfratto immediato, con conseguente rischio di sopraffazione, inoltre molti di quelli registrati come richiedenti asilo, non hanno ancora ricevuto alcun aiuto dall’Alta Commissione per i rifugiati, la motivazione esposta dall’organizzazione è che non hanno un budget sufficiente.

Risulta che nel 2019, i governi hanno fornito all’Unhcr solo la metà dei fondi necessari per assistere gli 82 milioni di rifugiati e sfollati di tutto il mondo, anche se in alcune realtà occidentali tale “fenomeno” non risulta avere particolari effetti, ma forse dipenderà dalla “oclocrazia” (potere alla massa), che in questo caso sovrasta “fatalmente” quelle “democrazie africane” in alcuni casi poco sensibili alle problematiche dei “loro” migranti.

Aggiornato il 11 maggio 2020 alle ore 11:12